"8 ottobre 1998 Intervista a Renato Meneghetti"
a cura di Christiane Peyron

Perché dipinge?
A questa domanda Meneghetti dice di non poter rispondere, però racconta la sua vita, sembrerebbe quasi una giustificazione.
Il suo debutto avviene quando ha 7 anni, “La mia mamma era troppo povera per comprarmi il materiale per dipingere, allora ho preso degli stracci vecchi ho costruito dei quadri con dei pezzi di legno e ho preparato i colori con foglie verdi, foglie secche e olio d’oliva.” Lo scopriamo così pieno di risorse, creativo, organizzato, una persona che non si lascia mai abbattere.
A 8 anni mentre era al cinema la pellicola si rompe e, nell’attesa che venga riparata, ne raccoglie alcuni frammenti. Tornato a casa si costruisce un proiettore, perfettamente funzionante, con una lampadina e una scatola da scarpe. Così è rimasto, con la sua voglia di capire, di penetrare le cose in profondità usando la sua pittura radiografica. Meneghetti non cessa mai di porsi domande e spesso trova le risposte, poiché egli non rinuncia mai.
A 12 anni affronta, con successo, la sua prima esposizione a Bassano. Gelosia di altri pittori. Ne soffre parecchio perché è un essere fatto d’amore, ha bisogno di essere amato. Ascoltandolo ci si chiede se, fin dall’inizio, la lotta contro l’animosità che genera non sia il suo maggiore stimolo. Per consolarlo verrebbe da cantargli la canzone di Georges Brassens: “Les braves gens n’aiment pas que l’on suive un autre route qu’eux”
Ma questa gelosia è stata l’impulso a divenire “il più grande, il più accettato”. Intanto la domanda iniziale “perché dipingi?” ha trovato una risposta che spontanea scaturisce “Dai 7 anni in poi ho dovuto dipingere. Se non lo faccio mi sento sconsolato, triste, arido. Ho sempre dipinto, è una cosa che mi viene da dentro”.

Essere più aggressivo, più immediato
Egli racconta: “Nel 1980 ho sentito la necessità di essere più aggressivo in quello che facevo, volevo più immediatezza e ho usato la fotografia: si trattava di un’intuizione, ma non si è rivelata giusta”.
Spiega: “Mi sono detto che la pittura non era immediatamente comprensibile e il mondo ha fretta; per questo ho usato la fotografia e ne è risultato il mio libro “Insania” ”.
Insania una parola che non si riferisce tanto alla follia, quanto a qualcosa di insano, non sano. Questi autoritratti sono tutti sull’orlo dell’abisso. Ad ogni opera ci si sente affossare per poi risollevarsi ed inabissarsi di nuovo, è affascinante seguire questo alternarsi di decomposizione e ricomposizione, come diceva Nietzsche: “Quando guardi nell’abisso, l’abisso guarda in te”.
Con la mano sulla spalla, Meneghetti ci spinge verso il baratro di tutti gli orrori umani: la solitudine, la desolazione, la malattia, la perversione, l’amore per il denaro, la bestialità, la morte, la decomposizione, la putredine che soffoca tutte le bellezze della vita. E poi ci risolleva verso la luce e ci proietta verso tutto ciò che nobilita l’animo umano, la musica, la letteratura, l’arte, l’amore, la sublimazione, la rinascita, la passione della natura, l’ideale che si riferisce a Cristo. Egli si rivela a noi con quanto di più orribile e più sublime vi è in lui, poiché si tratta sempre del suo volto. Ma, cosa straordinaria, entrando in questo universo, siamo noi a rifletterci nello specchio della fotografia e non lui, noi, spogli, vulnerabili, inorriditi.
Un enorme passo verso la coscienza di sé!
Per costruire questo libro, Meneghetti ha scattato più di quattromila fotografie. “Si tratta soprattutto di un lavoro di ricerca”, precisa.
Le sue fotografie hanno un grande successo. Intanto compone musica. Altro successo. E poi il cinema, un film di cui è regista, ideatore, realizzatore ed attore, un film con quattro personaggi “Io, io, io e ancora io”. Un film che ripercorre le sue contraddizioni ed utilizza la sua musica. Un film premiato alla Biennale di Venezia e a Berlino, dove il suo nome compare tra Bergman e Fellini.
Tutto questo per rispondere alla sua intuizione ... che non era giusta! Ed insiste!
“Mi sono sbagliato anche realizzando cose all’avanguardia come il museo dell’auto. Così mi sono detto: Sei un pittore, e devi restare pittore!”
Non è un ammirevole ritorno sui propri passi? Avere la possibilità di scegliere tra due forme di genio ... e il coraggio di scegliere.
Oppure ...
Racconta: “Quando il mio film, le mie foto, la mia musica sono usciti, alcuni hanno gridato al genio, ma altri hanno detto “Questa è m....”.
Ripensiamo all’esposizione fatta a dodici anni, il successo suscitò la gelosia dei pittori di Bassano. E questo, lui, non lo sopporta. Che la metà degli spettatori l’abbiano aspramente criticato, che non l’abbiano amato ... no! Preferisce abbandonare queste forme geniali ed essere fedele esclusivamente alla sua pittura, al suo primo amore. “Mi sono sbagliato e sono tornato alla mia pittura”

La dimensione della pittura di Meneghetti
È l’uomo che parla all’uomo. “Cerca te stesso perché non ti conosci” e spera, un giorno, di riuscirci. Ha l’impressione che certe cose che fa non provengono da lui e non ha torto: nessuno sa da dove giunge l’ispirazione geniale ... soprattutto non lo sa chi è ispirato!

Il rapporto tra musica e pittura in Meneghetti
La sua musica nasce dalla sua pittura, la traduce. Alla fine, musica e pittura, in lui, sono complementari, in quanto la sua musica offre tantissimo alla sua pittura. Così, facendo riferimento alle radiografie, la musica permette allo spettatore di entrare nel quadro. O, più sottilmente, permette all’altra parte dell’individuo di non restare fuori.
Non ha mai studiato musica: “L’ho scritta con il computer” confessa ( per quanto un personaggio simile possa confessarsi).

E se tutta la sua opera venisse inghiottita in un cataclisma, che resterebbe di Meneghetti?
Risponde “Io esisto fuori da essa perché continuamente io muoio e nasco. La mia vita inizia ogni mattina”.
Quando era giovane stentava a vendere le sue opere; ogni volta gli sembrava di perdere un braccio, un dito, una gamba ... A 21 anni, sentendosi completamente mutilato, ha tentato di ricomprarle. A chi si rifiutava di rivendergliele, le rubava. Lo stesso comportamento lo ha verso le figlie. Racconta che avrebbe ammazzato volentieri chi le voleva e ammette: “Sono assolutamente capace di trasformarmi in un omicida”. Ora accetta che la sua pittura e le sue figlie abbiano una vita propria “Gli altri hanno diritto di avere la gioia di possederle”.

Picasso e Meneghetti
Confrontare la sua vita e il suo comportamento a quelli di Picasso significa quasi recargli offesa: Meneghetti si valuta molto al di sotto, eccessivo in tutto, in amore, nella ricchezza, nella passione, nelle contraddizioni, capace del peggio ... Ma anche del meglio. Il denaro che guadagna, molto, lo usa per portare la sua pittura ad un livello elevato, è un uomo d’affari, che organizza il suo successo artistico, sacrificando tutto alla sua arte, ritenendosi geniale. Ed è vero. Egli emana da sé onde di rara potenza, creative, realizzatrici, sessuali. Un magnetismo come dovevano possedere certi personaggi storici, a volte, forse, poco raccomandabili. Certamente Picasso. Così si spiega il “loro” rapporto con le donne.

La morte
La sconfigge con le sue radiografie. Gioca con lei, la accarezza, la camuffa, le fa la corte, l’ama, modo migliore per esorcizzarla, perché “nessuno può sapere quanto io tema la morte, quanto mi spaventi invecchiare: è una cosa che erode il mio cervello”. Per questo, forse, ha corso enormi rischi sottoponendosi così spesso a radiografia per realizzare un’opera di completa interiorità. Il radiologo ha finito per rifiutare perché era troppo pericoloso.
Meneghetti conclude: “Per diventare immortale non mi resta che il mio genio!” Chi oserebbe dire il contrario! Non io ...
Ammette che le sue foto, nella loro diversità, possano essere dei flash sulle sue reincarnazioni passate, animali, vegetali ...

E l’ibernazione?
Eccome se lo farebbe, per rinascere di tanto in tanto.

Renato Meneghetti in conclusione appare come un uomo totalmente fuori dal comune. Onnipotente, dotato di una forte carica erotica, femmineo, carismatico, emotivo, preso da un commovente desiderio di migliorare (ma vale una perdita di vigore?) e un tremendo bisogno di essere amato.
Assillato da un lato dall’uomo d’affari, preciso, conciso, generoso e dall’altro dall’artista emotivo, creativo, narcisista e geniale. Tra il buono e il cattivo che potentemente coabitano in lui.
Uomo di passioni portate all’estremo, uomo di conflitti che non può risolvere, ma da cui trae la sua forza.

Christiane Peyron - 1998