CONCETTUALISMO E PRASSI NELL’OPERA DI RENATO MENEGHETTI
a cura di Ennio Pouchard

Artista sperimentale poliedrico, Renato Meneghetti è perennemente soggetto a una bulimia creativa che può placare soltanto con l'impegnarsi in esperienze diverse e soprattutto nuove. L’essersi sentito pittore sin dalle prime spontanee invenzioni infantili con giochi del pennello di toccante “maturità”, e gli sviluppi, nel corso dell'adolescenza, su tecniche — monotipo, collage, affresco — che altri osano affrontare solo molto più avanti, non l’hanno spinto a seguire scorciatoie: ha continuato a fare pittura, ma come sottofondo dell’attività da imprenditore pubblicitario con azienda propria, competitiva su scala mondiale.
Il salto sulla scena dell’arte l’ha fatto dopo, con un approdo al lido espressionistico delle forme deformate (le Fagocitatrici, il Fagocitato), seguito da un altro balzo verso il soggetto fotografato, ponendo il proprio viso come modello, con la sovrapposizione di immagini proiettate per renderlo teatralmente mostruoso. Lo testimonia il libro del 1982, significativamente intitolato Insania e accompagnato da un long-playing di musiche da lui composte, presentato quell’anno alla International Computer Music Conference della Biennale veneziana. Le musiche, “composte”, o meglio “dipinte”, erano “tradotte” al computer in suoni elettronici, integrati con voci, rumori “concreti” e brani strumentali, ed “eseguite” per una ripresa cinematografica da un’orchestra di manichini diretta dall’autore stesso. Il film, un lungometraggio dal titolo Divergenze parallele su pellicola da 16 mm, fu presentato nell’83 alla XL Mostra Internazionale del Cinema, alla Biennale di Venezia ed ebbe successo. I manichini dell’orchestra promanavano potenza espressiva per il contrasto tra le loro immobilità nude e il travolgente dinamismo dell’attore protagonista e di litigiose comparse; e non restavano inerti nei confronti dell’artista, perché gli ispirarono l’idea di sculture in plastica termo-modificabile e di teste in ceramica bianca, plasmate su di lui, da produrre in centinaia di copie e spargere sul pavimento delle gallerie durante le mostre. “Indifference” ha chiamato il percorso che compongono. I visitatori, attenti dapprima ad evitarle, dopo i primi incidenti — succede ancora — si scatenano a frantumarle; e il vederli apre una strada per altre azioni guidate.
Circa allora, a seguito di un grave incidente nell’ambito familiare, Meneghetti intuì le possibilità d’impiego delle lastre radiografiche: per Gillo Dorfles, che lo presentava in una personale del 2000, costituivano “l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni”. L’artista ne fece e ne fa ancora largo uso in più modi: con stampa su lastre di plexiglas da appendere in quantità, formando installazioni in passaggi attraverso i quali il pubblico è obbligato a transitare, e su lightbox sovrapponibili a parete. Stampate su tela emulsionata sopra figure tratte da dipinti storici, in modo da simulare la struttura ossea degli effigiati: formano un ciclo chiuso, denominato “I Grandi Maestri” e sono affini come effetto al “disegno sottostante” rivelato dalle riflettografie all’infrarosso, mostrando una “struttura oltre natura” di inquietante pregnanza metafisica. E ancora: frammentate in dimensioni ridotte, entrano come parte visibile solo in controluce nelle monete coniate dal Meneghetti-designer in un simil-metallo per riempirne casse e fantocci meccanici divoratori di questo “sterco del diavolo”. Infine, stampate su tela fotosensibile, diventano basi grafiche per elaborazioni con pigmenti colorati trattati ad alcol: tibie e omeri si trasformano in fiori; crani in lune nelle varie fasi; tronchi di palma dei Caraibi in raffigurazioni ignote (“Anime della foresta”), per la loro struttura stranamente simile a una colonna vertebrale: un’allusione a un discorso infinito sulla grande unità della natura. Da queste palme è uscita anche l’idea di sculture in gres ceramico recentemente prodotte (“Paralleli vertebrali”), con tronchi cavi alti fino a tre-quattro metri. Ultima innovazione, le ecografie usate come le RX: meno direttamene leggibili e più misteriose.
Altre radiografie con forti richiami a problemi sociali sono riprese dai controlli sul bagaglio dei passeggeri in partenza negli aeroporti: una violazione dell’intimità di tanta gente, cui si assomma quella esercitata sul personale di controllo. A queste si aggiungono (really shocking) le immagini ottenute allo scanner di camion e T.I.R. che arrivano alla frontiera di mare a Calais e Dover, dove vengono rivelati gli ignari clandestini nascosti tra le casse del carico inerte. Sono radiografie del dolore,  della disperazione.
Si provi ora a fare un bilancio sul ventaglio di  proposte fin qui considerate, relative a un artista che tra le varie esperienze da pittore, scultore, fotografo, designer, architetto, autore e attore teatrale, scrittore, scenografo, regista e compositore di musiche sperimentali, rendendosi conto che tutto ciò non gli sarebbe bastato (o piuttosto che nulla gli sarebbe più bastato), ha vissuto e vive fasi di un concettualismo sfrenato, approdando a una metaforica spiaggia dove momenti di manualità devota alla tradizione coesistono con multimedialità spinte, operazioni para-industriali, azioni e interventi pubblici omnicoinvolgenti. Ethos, lógos, páthos, ma anche pólis e, vagamente, religio formano ormai, per Renato Meneghetti, motivo e multiforme sostanza dell’impegno creativo.

Ennio Pouchard