LA STRUTTURA SEGRETA
a cura di Laura Cherubini

Svelare la natura segreta delle cose, questa sembra fin dall’inizio la pulsione dominante nella ricerca pittorica di Renato Meneghetti. La Lavandaia del 1954 e Ho visto il mare, dell’anno seguente mettono a nudo brani di natura, La tavola dello zio Nino del 1959 è un’osservazione ravvicinata di un frammento di tavola, alcuni Monotipi sembrano anticipare le Radiografie, i collage si presentano come stratigrafie di sottili e fragili epidermidi, negli affreschi su tavola la tessitura materiale è esibita e sottolineata.

Cannibalismo
Già negli anni Sessanta nasce un ciclo intitolato le Fagocitatrici. L’unica cosa possibile per vivere nel mondo è forse farsi mangiare. Meneghetti tratteggia una sorta di fase orale della pittura. La fase orale è una tappa fondamentale nel primo periodo di vita del bambino, la bocca uno degli organi principali, luogo di accesso all’interiorità del corpo.
“Il piacere che si prova nell’essere accudito si connette strettamente a certi atteggiamenti emotivi, la sensazione principale consiste probabilmente nella sicurezza risultante dalla distensione portata all’appagamento della propria fame. Questo senso, insieme a quello di essere curato, si riallaccia all’atto dell’assimilazione e al piacere che risiede nella mucosa della bocca. In origine, queste sensazioni orali vengono avvertite in modo del tutto passivo.
La ghiandola mammaria ha un tessuto erettile e fa zampillare il latte nella bocca del bambino. È giusto quindi chiamare assimilazione, o secrezione orale, l’intero complesso di queste emozioni e del piacere così localizzato” (Franz Alexander, Gli elementi fondamentali della psicoanalisi).Si sa che popoli primitivi mangiano i loro nemici per introiettarne le qualità. Questo accadde persino al dottor Livingstone, l’esploratore: alla sua morte i due più fedeli servitori ne mangiarono gli organi per assumerne la forza e il coraggio. D’altra parte qualcuno ha persino ritenuto fraintendendone l’essenza e il significato un macroscopico esempio di cannibalismo traslato il rito dell’Eucarestia nella religione cattolica – il sacerdote ripete a proposito del vino e del pane le parole del Cristo: “Prendete e mangiatene tutti perché questo è il mio corpo, prendete e bevetene tutti poiché questo è il mio sangue sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati” –. Per il prodigio della transustanziazione il fedele deve credere che l’ostia consacrata effettivamente è il corpo di Cristo come d’altra parte il sacerdote la chiama iteratamente donandola alle bocche della comunità riunita.
Anche la letteratura è attraversata da tracce di cannibalismo: nel Decamerone di Boccaccio c’è la novella di messer Guglielmo Rossiglione che, geloso di messer Guglielmo Guardastagno, lo uccide e dà il cuore in pasto alla moglie, ma legate al cibo sono anche le novelle di Nastagio degli Onesti e di Chichibio e la gru. Nelle favole emerge la figura della madre-strega o del padre-orco che divora: pensiamo ad Hansel e Grethel e a Cappuccetto Rosso. Hansel e Grethel appare come la fiaba di una grande paura, quella della fame: i genitori sono preoccupati di non aver più nulla da dare da mangiare ai propri figli, i bambini sono convinti che i genitori li vogliano far morire di fame, gli uccelli mangiano le briciole che Hansel ha disseminato impedendo così di trovare la strada, i bambini affamati mangiano la casa commestibile e la strega vuole mangiare loro: “La strega, che è una personificazione degli aspetti distruttivi dell’oralità, ha la stessa tendenza a divorare i bambini che vanno a demolire la sua casa di marzapane” (Bruno Bettelheim, Il mondo incantato). Anche in Cappuccetto Rosso il tema centrale è la minaccia di essere divorati. “Un’incantevole e innocente ragazzina inghiottita da un lupo è un’immagine che s’imprime in modo indelebile nella mente. In Hansel e Grethel la strega ebbe soltanto l’intenzione di divorare i bambini; in Cappuccetto Rosso sia la nonna sia la bambina sono letteralmente ingoiate dal lupo” (Bettelheim). La storia letteraria di questa fiaba inizia con la versione di Perrault dove però manca il lieto fine, tanto che un grande studioso di fiabe, Andrew Lang osserva che se tutte le varianti di Cappuccetto Rosso finissero così si potrebbe accantonarle, mentre con la versione dei fratelli Grimm divenne una delle fiabe più popolari. Nella mitologia abbiamo la leggenda di Cronos che divorava i propri figli: Zeus si salva perché sua madre lo sostituisce con un sasso. L’Enciclopedia della psicanalisi di J. Laplanche e J.B. Pontalis alla voce “Cannibalico” recita così: “Termine usato per qualificare delle relazioni oggettuali e dei fantasmi corrispondenti all’attività orale, con riferimento al cannibalismo praticato da alcune popolazioni. Il termine esprime in modo icastico le diverse dimensioni dell’incorporazione orale: amore, distruzione, conservazione all’interno di sé e appropriazione delle qualità dell’oggetto”. Ecco dunque che le credenze dei popoli primitivi trovano una qualche conferma nella psicanalisi. È quanto Sigmund Freud in persona ha spiegato in Totem e tabù: “[…] ingerendo parti del corpo di una persona nell’atto di divorazione, ci si appropria anche delle proprietà che sono appartenute a quella persona” e più specificatamente: “Un giorno i fratelli […] si riunirono, uccisero e divorarono il padre, mettendo così fine all’orda primitiva […] Nell’atto della divorazione essi compirono l’identificazione con lui, appropriandosi ciascuno di una parte della sua forza”.
Fagocitare: in realtà questo verbo sul vocabolario non c’è. C’è invece il sostantivo maschile fagocito (dal greco fagein, mangiare, e chitos, cellula) e la definizione recita così: “Nome generico di cellula animale circolante nel sangue, che ingloba detriti e microrganismi e li digerisce”.

Radiografie
I continui mutamenti nel lavoro di Renato Meneghetti non sono indice di sperimentalismo, anche se un quadro del 1981, realizzato attraverso la corrosione di smalto su polistirolo, porta il titolo di Esperimento I, sono prodotti invece dall’ossessione dell’idea della morte che attraversa tutta l’opera. Alcuni dipinti ad acetato montati su tavola, Parti di fagocitato 16°, Spina dorsale di un fagocitato e Parti di fagocitato 24°, tutti del 1979, mostrano corpi smembrati e fatti a brani che in qualche modo anticipano il lavoro delle Radiografie. Tra i primi lavori in questo senso Ritratto di Anna e Occhio fagocitato, ambedue del 1981, sono ancora firmati con la sigla “Mrilfagocitato”.
All’origine di tutti questi lavori c’è sempre una vera radiografia che viene trasferita su tela attraverso un celato e segreto procedimento di pressione/impressione. Su questa base vengono poi utilizzati i colori. L’elemento cromatico incide in modo così definitivo e consistente che alla fine il corpo umano viene completamente trasformato in un paesaggio terrestre o cosmico.
Questo procedimento sembra dunque teso a svelare una struttura segreta delle cose, come molti procedimenti del surrealismo, dal frottage di Max Ernst al rayograph di Man Ray. Anzi quest’ultima esperienza sembra forse la più vicina, anche per il processo affine a quello radiografico, una immagine ottenuta per contatto. Così, in sintonia con il ready-made di Marcel Duchamp, che consiste nel prelievo e nella pura, semplice e diretta presentazione dell’oggetto, l’interna struttura delle cose viene rivelata. Ecco come Man Ray stesso racconta l’invenzione, nel senso proprio della scoperta di qualcosa che era già implicito nelle premesse, del ready-made: “Sviluppai durante la notte le lastre che avevo impressionato e la sera dopo le stampai […] Posai i grandi negativi in vetro su un foglio di carta sensibile che si trovava sul tavolo. Accesi per qualche secondo la lampadina rossa che pendeva dal soffitto, poi sviluppai le negative. Fu durante lo sviluppo che scoprii il procedimento per fare i miei Rayographs, fotografie senza macchina fotografica. Sotto i negativi, fra i fogli di carta da stampa che erano già stati esposti, ce ne era uno vergine. Lo esposi alla luce, insieme a parecchi altri fogli che più tardi sviluppai insieme. Attesi invano per qualche minuto che comparisse l’immagine; poi, rimpiangendo di aver sciupato la carta, posai macchinalmente sul foglio bagnato un piccolo imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro. Accesi la luce: sotto i miei occhi prendeva corpo un’immagine. Non si trattava soltanto del semplice contorno degli oggetti, ma questi risultavano deformati e riflessi dai vetri che erano stati in misura maggiore o minore a contatto con la carta; la parte esposta direttamente alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero” (Self-portrait).
Così l’occhio vede cose che l’occhio normale non legge. In Autoritratto al chiaro di luna del 1989 si contempla la faccia della luna, in Autoritratto in Quaresima (1989) la struttura ossea si illumina d’improvviso chiarore. In Microtac Gold, in tasca dell’impermeabile (1992) si configura un paesaggio di oggetti. Poi ‘ritratti intestini’ cominciano a popolare i quadri di Renato Meneghetti. Una delle strutture portanti di queste opere è quella che nel corpo umano è la colonna portante: la colonna vertebrale. Lo scheletro è la struttura ossea visibile ai raggi X.
Il corpo umano continua a essere oggetto di indagine nelle Carrozzerie umane realizzate con elementi tridimensionali.
L’anxietas, l’ansia di comunicare, l’urgenza espressiva portano Renato Meneghetti a esplorare altri campi come l’architettura, il design, il cinema con la progettazione del Museo dell’Automobile, la partecipazione al Festival del Cinema, il lavoro per l’Agenzia Pubblicitaria, l’attività della Casa Editrice e finanche l’esperienza del restauro di ben sette ville palladiane. Il suo lavoro d’artista resta molto legato all’interiorità, a una visione spirituale e sofferta del mondo, ma credo che l’attività interdisciplinare e le differenziate esperienze in tutti questi specialistici settori abbiano avuto un riflesso sull’opera più strettamente artistica, nel senso di un raffreddamento e un distacco da temi e problemi, per cui anche il corpo umano viene indagato da un occhio meccanico ed elettronico. Uno sguardo neutrale si combina così con l’angoscia esistenziale e contribuisce a farle varcare la soglia del linguaggio.

Laura Cherubini
1999