QUANDO LA RADIOGRAFIA DIVENTA ARTE
a cura di Aldo Gerbino

La poetica di Renato Meneghetti appare stringata, tutta protesa ad una interiorizzazione che non persegue le vie comuni dello spirito, ma si tuffa, con una fresca energia materiale, biologica, all’interno del corpo, tra le pieghe dei segmenti ossei, oltre le parti molli, svelando un’immagine celata e imprevedibile. Allora, sia gli alcool su tela, sia i frammenti scintigrafici riproposti, le icone anatomiche, o le ri-creazioni radiografiche colte oltre la soglia dell’emblema scientifico, comunicano un’inquietudine, una capacità di adunare (dopo i cento anni dalla scoperta dei raggi X), anche attraverso l’arte, la parte silente, ma non per questo meno illuminante, del volto e del suo interagire con l’ambiente. Ecco, dunque, che la pittura si pone, tra aspirazione verso il grande libero della scienza e l’emozione che da questa visibilità promana (così come recita l’introduzione in catalogo di Marcello Palminteri: «Meneghetti, Occulte visioni, radiografie 1979/2000», Opera Universitaria San Saverio, fino al 30 giugno). E se il dato concettuale si pone a sostrato del dialogo figurativo (esigenza simile troviamo nel volumetto di dipinti e testi firmato da Maria Pia Pisoni e Nunzio Pino per le «ecografie in ostetricia» 1998), sacro e civile comunicano nell’opera di Renato Meneghetti mentre la drammaticità sgorga dall’impatto della materia con lo spirito (si vedano «Ritratto di Lenin» e l’«Ecce Homo») fino a sconfinare nel bel «Ritratto di pesce persico» del 1997, in un coinvolgimento di messaggi nati dal silenzio e dalle profondità corporali.

Aldo Gerbino