ESSENZA E SENSI
a cura di Richard Gregor

Nella prefazione al suo breve studio sulle opere di Renato Meneghetti, Pierre Restany afferma: “Meneghetti è soprattutto un uomo del suo tempo.” Questo parere pertinente esprime in modo preciso la sensazione percepita dallo spettatore nell’ambito delle opere di questo artista italiano che spazia per numerosi campi: da pittura e scultura, a installazioni, regia, teatro, fotografia, architettura e design, fino alla composizione musicale. Durante il “Rinascimento” degli anni ’60, periodo in cui fece la sua prima comparsa sulla scena artistica, Meneghetti ardeva dal desiderio di oltrepassare i confini stabiliti delle arti visive – non solo mediante un postulato base sui nuovi orientamenti, ma anche attraverso l’unione dei contesti esistenti in una produzione intermedia, progredendo fino ai giorni nostri. Per l’artista, l’ispirazione del periodo richiede un forte impulso: egli verifica ed esamina le tendenze espressive emerse sulla scena mondiale (che in alcuni casi si contrappongono dal punto di vista dello sviluppo), sia simultaneamente sia consecutivamente, a partire dalla fine della II Guerra Mondiale. L’assorbimento delle posizioni pluralistiche dell’arte fornisce spazio per la successiva eterogeneità tipologica degli sforzi dell’artista, in cui si potrebbe trovare un nesso comune: un tentativo di cogliere l’essenza del suo lavoro con un nuovo ruolo archetipo portato da un individuo e dall’individualità.
La prima fase creativa coerente di Meneghetti è la risposta alle tendenze strutturali dell’Informel europeo, che egli sviluppò intorno al 1965. Se ammettiamo che l’Informel, insieme con le tendenze geometriche, è un apice dell’arte astratta (e, nella linea diretta dell’evoluzione della produzione materiale, superarlo vuol dire in realtà negarlo a causa dell’impossibilità di un ulteriore sviluppo) l’inclinazione del giovane artista per questa posizione dinamica e allo stesso tempo metafisica è logica e giustificata. La confusione tipica dei piani che danno struttura all’immagine è per lui principalmente una sintesi e una stratificazione materiale; in seguito, nella fase di ricerca di una soluzione a questo modello, egli adopera un principio contrario alla stratificazione: un’analisi di forme casuali (o scoperte). Tale slittamento nell’approccio durante il suo continuo lavoro con alcuni dei mezzi impiegati, ricorrente nella sua attività, non soltanto è rilevante nella morfologia formale ma si pone anche in relazione a una visione dell’essenza delle opere stesse in alcune serie. Nella sua produzione successiva, l’artista combina anche questi due approcci in un’unica opera, negando in modo affascinante una visione costante di una singola tendenza nelle arti visive. Questa fase strutturale è un breve episodio, ma è probabilmente il primo contatto di Meneghetti con la posizione limite dell’arte su una superficie bidimensionale; inoltre, è tale posizione che, ora più che mai, trasferisce l’enfasi del genere classico (tradizionale) verso un risalto del processo creativo e verso un’impronta artistica di diverso tipo (automatica e allo stesso tempo consapevolmente influenzata), che nelle sue successive opere drammatiche può essere considerata come un interesse residuo.
Anche nei suoi collage, che secondo una prima datazione sembrano contemporanei dei monotipi strutturali, il conflitto tra le contrapposizioni del periodo è apparente: l’astrazione residua perdura come valore sostenuto dalla sua stessa universalità e dal suo opposto – la cultura tentatrice dell’idealizzazione di massa (Pop art), come risposta diretta all’iperintellettualizzazione della tendenza precedente e come sinonimo dell’atteggiamento della generazione dei giovani degli anni ’60 verso la vita. I suoi collage si trovano sulla linea di confine: sorgono da un contesto ed entrano in un altro. L’interessante posizione dei decollages stratificati supporta entrambi per natura: sia il precedente metodo d’intervento formale sulla materia esistente o creata (in carta découpage), sia una base, che parla già in una lingua diversa. Questo spostamento del centro d’interesse da parte dell’artista sarà di grande importanza per ciò che concerne la forma e si dimostrerà in certa misura costante; tuttavia il suo travolgente viaggio alla scoperta dell’essenza rimane ugualmente inarrestabile. A questo punto, potremmo proporre un modello per definire l’artista, adoperando due coordinate: essenza in ogni categoria e un attacco ai sensi, ovvero un’intensa dimensione visiva che predomina nelle sue opere, noncurante della loro natura, misura o carattere. L’attività successiva è sottoposta a questa duplice strategia in entrambi gli aspetti individuali e nei rispettivi dettagli; la polarità attiva delle relazioni primarie, definita attraverso mezzi visivi – luce e forma, è raggiunta attraverso il processo di stratificazione.
Una gamma di colori Pop-art, pura e non rifratta, appare nell’artista insieme a una chiarificazione di concezioni figurative formali che egli non rifiuta (come ci si potrebbe aspettare dopo l’esperienza informale) e alle quali si accosta anche in questo modo. La purezza delle tonalità di colore riflette la disposizione del pathos e della sincerità, e nega con decisione lo stato d’animo, lavandolo letteralmente via dal dipinto, come un elemento inutile e vuoto (Meneghetti mantenne questo ruolo su una superficie bidimensionale fino agli anni ’90). Prima di accettare l’arte figurativa, egli attraversa un periodo di astrazione Pop-art con questa attitudine; periodo che appare come la cristallizzazione di una pittura strutturale dalla spiccata fluidità, sostenuta da un concetto duraturo di fagocitazione, inteso come riflesso delle opinioni personali dell’artista. Nella resa anatomica e nella riduzione delle forme, che potrebbero in breve essere definite un’analisi materiale su una superficie bidimensionale, comparvero i suoi primi “schizzi” di scheletri dipinti da elementi moltiplicati (o almeno ripetuti cronologicamente), che in seguito furono sviluppati in una serie vasta e continuativa di opere radiografiche realizzate con l’uso dei raggi X. Alcune delle partiture grafiche sono basate anche sulla stessa morfologia e indicano un’altra chiara possibilità di comprendere la natura dello stesso materiale visivo, quando questo venga innestato in un contesto differente – in tal caso, oltre alla qualità visiva, vi è un’evocazione di una possibile interpretazione musicale (esclusivamente soggettiva). È un tipo di documentazione priva di simboli, dove i segni individuali non hanno una regola fissa definita a priori e con metodo preciso; il loro obiettivo è perciò l’improvvisazione: istantanea e irripetibile.
Una ricerca radiografica dell’essenza mostra evidenti presupposti e aspettative per questo artista, specialmente nella sua produzione pittorica pura. Tuttavia, connotazioni formali possono essere percepite in altri contesti apparentemente incomparabili. Egli analizza la materia con mezzi di frammentazione di elementi strutturali, che espongono livelli diversi di compatibilità reciproca e che costituiscono un intero, ma al tempo stesso ne pone in questione l’unità, rendendoci intelligibili le possibilità di deformazione e di possibile movimento sottolineate nelle parti testuali di queste opere. Per l’artista, le Radiografie non possiedono attributi scientifici: esse rappresentano soprattutto un esame di forma e la base di interessi superiori al carattere puramente visivo. Il loro carattere strutturale è dato in precedenza – l’artista ne supporta e ne mostra la natura plastica e la succitata possibilità di deformazione inserendo piani di colore (come parti recise da un modello in cartone). Egli fa uso di radiografie (intere o frammenti) di cui si appropria come fondamento: una base di idee o composizioni che determina non solo la forma finale ma anche le relazioni all’interno dell’opera. Una radiografia è statica – perciò il ruolo di base, di fondamento, può esserle assegnato facilmente nell’immagine, ed è contemporaneamente il primo passo dal quale l’artista trae ulteriore ispirazione permanendo nello spazio del proprio metodo creativo. Il carattere statico è turbato da altri elementi della composizione in varie combinazioni: dal pathos dell’espressione al simbolo pregnante di significato – il risultato è un tipo di naturalità non fisica, la cui magica pulsazione vibra nell’interspazio che connette il nucleo identificabile con il guscio della superficie formale in una policromia troppo enfatizzata, vista a volte come attraverso radiazioni ultraviolette. Una radiografia possiede qualità visive autonome, la cui essenza può essere considerata archetipo da una certa prospettiva. In aggiunta a ciò, possiede una luce specifica, che Meneghetti rende sua in modo qualitativo, forse più dell’immagine di uno scheletro; questa luce di cui egli si impossessa potrebbe essere considerata come una spia luminosa, ovvero, luce come presupposto e fattore determinante di un’opera d’arte mediante l’operazione delle sue qualità e dei suoi significati, predeterminando questi ultimi nel caso delle radiografie. L’artista colloca la luce acquisita al centro e le assegna la funzione di punto di partenza per l’immagine, un posto al quale ritorna dopo aver attraversato la cerchia degli altri elementi espressivi. La serie di opere che va dai primi anni ’90 a oggi, presentata all’esposizione in corso, è condotta in quest’atmosfera.
L’esposizione consiste in dipinti da appendere (eseguiti con alcol su tela), pannelli che simulano vetri colorati, oggetti e installazioni. Meneghetti li usa per riferirsi in modo energico alla materializzazione più autentica del suo pensiero visivo, alla posizione che egli ha sviluppato sistematicamente per molte decadi. Le installazioni, e anche i pannelli di vetro colorato, hanno un effetto definito e inteso in modo preciso sullo spettatore. Questa loro “finalità” sorge specialmente dalla drammatica qualità del fatto che il grado di altri interventi artistici nelle sue opere sia stata recentemente ridotta e che la loro efficacia sia sempre più legata alla forma di origine delle radiografie e del colore base. L’assenza di altri dettagli significativi contribuisce alla loro emotività (probabilmente drastica anche in questo senso) – un fattore che l’artista non ha sviluppato molto in passato. La riduzione di grado di interventi e il raggruppamento di parti individuali in totalità più ampie parlano contemporaneamente di un pensiero analitico più profondo riguardo al significato di tali parti; d’altro canto segue e indica una differenza nel linguaggio visivo dell’artista negli ultimi anni – i pannelli di vetro colorato e le installazioni potrebbero essere percepite come scatole luminose artefatte.
I dipinti, grandi, di stampo marcatamente diverso, possono essere messi in contrapposizione a questo gruppo di opere. Mentre nelle installazioni di luce la manipolazione della base è ridotta, e così facendo una certa autonomia della tematica e dell’espressione è donata al costituente essenziale dell’opera d’arte (poiché un’opera d’arte presuppone il succitato senso di raggruppamento e una composizione di elementi), l’intervento appare in un’accezione diversa e anticoncettuale nei nuovi dipinti. In questi, Meneghetti interpreta il dettaglio come ispirazione formale alla quale egli assegna metaforicamente qualche altro significato casuale o intenzionale. Sostiene questa svolta aggiungendo una qualità lirica alla gamma di colori; così facendo riabilita lo stato d’animo respinto e represso, e in alcuni casi anche il simbolo narrativo, che può essere inteso come un’esplorazione delle altre possibilità che offre questa serie omogenea e ben organizzata.
La contrapposizione tra essenza ed emozione è probabilmente il duello cruciale che l’artista sta combattendo. Da un lato ci sono qualità e validità universali (che, tra l’altro, sono comprovate dalla sua considerazione sull’architettura – funzioni alleviate da qualunque sedimentazione), mentre dall’altro c’è temperamento: uno sforzo verso una strategia d’attacco ben architettata all’occhio dello spettatore. Questo duello interessante è meglio riflesso per traslati nelle sue figure neocostruttiviste (in variazioni differenti) e rappresenta un conflitto tra corporeo e definito in un’universalità estrema.

Richard Gregor
2002