RENATO MENEGHETTI
a cura di Caterina Lelj

Meneghetti è un grande artista. Se ne accorsero per primi Munari e Lucio Fontana. Artista precoce, a dieci anni era già sulla breccia. E via via con il desiderio di fare e di affermarsi si andò costruendo. Affrontò prove, le più disparate. Non si fermò alla pittura, alla scultura, al design, all’architettura. Andò avanti, inseguendo il suo genio. Mise piede anche nella musica. Dopo continui e mai rallentati balzi in avanti, ora, a Palazzo della Ragione di Padova, e ad Ancona, alla Mole Vanvitelliana, due mostre rafforzano, ancor più, il nostro interesse.
Ci mettono sotto gli occhi la pittura di questo creatore eccezionale. A Padova, si vive la vicenda del determinarsi del suo linguaggio, che prese fuoco, quando si imbattè nella radiografia. Gli si aprirono, allora, le porte del profondo e l’oscuro trovò la sua luce e l’avventura fantastica, il Ritratto di Anna del 1989 è testimone. La mostra di Ancona, ci porta dinanzi all’artista maturo. Il suo genio è parte dell’oltre misterioso, ne vive i molteplici accordi e il ritmo dell’infinito.
In occasione degli avvenimenti di Padova e di Ancona, due monografie sono state date in pasto ai desiderosi di sapere. Dorfles e Sgarbi ne sono gli autori. L’attenzione di Dorfles cammina intorno alle radiografie. Della radiografia, però, anche Sgarbi ce ne dice qualche cosa. “Le lastre”, scrive Sgarbi, “si offrono alla pura contemplazione, e portano oltre il prevedibile, portano al mistero oltre la forma”. E ancora: “ci si rende conto di come, anche quando Meneghetti usava strumenti diversi da quelli della radiografia, il cuore dei suoi interessi sia sempre stato la percezione di questa sorte di ultramondo celato nella profondità dell’anima”. E ci fa osservare che l’artista “nella sua prima giovinezza definisce identità formali fortemente antinaturalistiche”. Alcuni altri studiosi ci fanno anch’essi partecipi delle loro riflessioni. E studiosi come Caramel, Trombadori, Elena Pontiggia, Marco di Capua, Laura Cherubini, Peretta.
Gillo Dorfles nella monografia, che gli è stata affidata, illustra il valore del mezzo radiografico. Alla radiografia Meneghetti arrivò, trascinato da una vicenda drammatica della sua vita, una grave malattia della sua piccola figlia. L’artista, in quella tragedia, si gettò a capofitto sulle lastre che ritraevano il corpo malato della sua bambina. Da quell’esame drammatico, da quella lettura infuocata, in cerca dei legami con la vita, Meneghetti ne uscì vincitore, ne uscì padre felice e scopritore di una tecnica che rinnovò la condizione della sua pittura. La radiografia con quel tanto di mistero, che ogni scoperta reclama, si introdusse così nel territorio operativo di questo artista.
Dorfles ci fa osservare: “Oggi l’uso del medium radiografico è estremamente diffuso in molte situazioni pittoriche ed in molti materiali pubblicitari, il tipo di tecnica usato da Meneghetti non desta più sorpresa o scandalo, bisogna riconoscere che egli è stato indubbiamente tra i primi - e forse il primo in assoluto - a comprendere l’interesse estetico, oltre che scientifico di questo mezzo e soprattutto ad individuarne il significato profondo di tale impegno.”. Dorfles osserva anche che le lastre “si offrono alla pura contemplazione e portano ad intuire non solo le forme prevedibili, ma anche un mistero oltre la forma” “Rivelano la parentela originaria tra l’organismo umano e l’universo”.
A Palazzo della Ragione, la pittura di Meneghetti, dunque, abbiamo già detto, è accompagnata dalla osservazione dei critici e degli studiosi, che ci indicano quale stato di grazia intervenga nell’opera dell’artista, dopo l’incontro con la radiografia. La mostra di Ancona al completo ne è la commovente conferma.
Brani interessanti, di assoluto valore pittorico si incontrano numerosi prima di arrivare al grande momento. Per esempio, in tempi di contestazione gli Elementi fagogitanti, le Macrofagocitatrici animano il teatro di questo fantasioso. E fagogitare è la voce che si impone a quelle sue opere prepotenti che illustrano un’epoca di crisi e di violenza. Nella mostra di Padova, andando in cerca, per esempio, degli aspetti importanti, i Fagogitanti 1 del 1968 è un’opera che tocca il vertice, tra la dinamica del dipinto ed il gusto coraggioso, nella scelta del colore. Quest’opera, però, più che notevole, non è ancora al grado massimo. Ci si accorge, che l’acrilico su tela, per quanto lo ammiriamo, non supera una sua genericità. Invece, quando, davanti ai nostri occhi, cominciano a passare quelle pitture ad alcool come Ritratto intestino di Renato del 1992, come Ritratto di Gilda nella serra del 1995, noi siamo dinanzi alla grandezza di Meneghetti.
L’artista si ha messo una vita di lavoro intenso, coraggioso, di riflessione severa ed è finalmente esplosa la sua forza creativa al grado massimo. Che cosa c’è di più perfetto e glorioso del Ritratto di Gilda nella serra. Quella spina dorsale, brano per brano, ascende nello spazio, ed è la luce, luce che emerge da quell’oscuro annerito. Il Ritratto di Ulisse del 1997 è un polittico, dove vive il tempo e la sua ineffabile durata, il colore va verso un misterioso spazio, che scompare come soffocato dal vento.
La pittura di Meneghetti è un correre meraviglioso. Per ora la durata tocca il 1999 ed è così viva così pittura grande appena nata. Le ultime immagini della mostra sono distese di un solo colore, e sono piene di immerso respiro, sono vita che si inalbera, sono grandezza commovente. Sono voci di un creativo misterioso, che dovrà ancora, ed ancor più, incantarci.

Caterina Lelj