RENATO MENEGHETTI E LA COMUNICAZIONE GLOBALE
a cura di Pierre Restany

Renato Meneghetti è, prima di ogni altra cosa, un uomo del suo tempo. Ha saputo presentire l’imminenza del mutamento della nostra coscienza percettiva e dell’emergere di una dimensione globale della comunicazione. Questo territorio in espansione della comunicazione l’ha dapprima affrontato come pittore, con i suoi monotipi, i suoi collage, i suoi découpage e i suoi effetti materici cari all’Informale. Negli anni Sessanta il suo doppio incontro con Munari e Fontana avvia e lega una volta per tutte la sua ricerca al destino evolutivo dell’immagine. Il destino dell’immagine diventa il suo stesso destino. Nel momento in cui la globalizzazione delle strutture d’informazione telematica muove i primi passi, Meneghetti comprende che, alle soglie del terzo millennio, il destino dell’immagine non è più condizionato dalla fedeltà ai suoi tradizionali supporti né al suo statuto di opera unica. Egli diviene allora l’uomo-orchestra della comunicazione in via di globalizzazione: si dedica alle sue prime esperienze simultanee di fotografia, musica, scultura, design e architettura.
Nascono così le sue opere multimediali, le più celebri delle quali sono l’Albero tecnologico, il Tavolo dei giochi, il progetto Insania, il film Divergenze parallele, il museo dell’automobile “Luigi Bonfanti”. Sotto il segno della “fagocitazione”, del superamento dell’unicità dell’immagine, a partire dal biennio 1979-80, vedranno la luce le sue prime installazioni e performance. Parallelamente a queste realizzazioni multimediali, Meneghetti ha messo a punto, dai primi anni Ottanta, un procedimento iconografico originale, le sue Radiografie, che consistono nel riporto su tela, per mezzo di uno strato fissativo a base d’alcool, di radiografie mediche. Quelle del cervello, della colonna vertebrale, della tibia o di altre parti del corpo umano, il suo o quello di altre persone, divengono degli autoritratti, ritratti di sua madre o dei suoi amici intimi.
Una nuova realtà percettiva nata dal potere introspettivo dei raggi X che evidenziano una seconda identità del nostro essere attraverso l’immagine disvelata del nostro scheletro. Una seconda identità che si presta ad un’indefinita gamma di analogie impreviste. La recente serie delle Palme in ceramica è il risultato di un’osservazione fatta da Meneghetti in occasione di un viaggio a Santo Domingo, quella dell’analogia formale dei tronchi delle palme dei Caraibi con gli elementi dello scheletro umano. Ricordo l’agitazione che aveva percorso la scena artistica dell’Informale alla fine degli anni Cinquanta a causa delle rivelazioni di alcuni biologi che utilizzavano le tecniche allora più avanzate, in particolare il microscopio elettronico: ingranditi un milione di volte, frammenti di neuroni somigliavano inequivocabilmente a dei Mathieu, scaglie di roccia vulcanica a dei Sam Francis e, colmo della ridondanza, i nudi di Fautrier evocavano la parete uterina. Mi ricordo di aver scritto in quel periodo un articolo su questa realtà globale profonda che si trova al di là della capacità visiva dell’occhio nudo. Questo sintomo precorritore del riconoscimento di un territorio globale della visione avanzata resterà senza seguito in quegli anni. Ed ecco che nel 1997, quarant’anni dopo le rivelazioni del microscopio elettronico, Meneghetti riprende il “viaggio al di là dell’occhio” esponendo pubblicamente tutte le sue radiografie degli anni Ottanta e Novanta al Palazzo Sarcinelli di Conegliano, inaugurando una serie di successive manifestazioni.
Le Radiografie si inseriscono al centro delle principali preoccupazioni esistenziali che sono appannaggio della nostra cultura globale. La planetarizzazione delle tecnologie d’informazione telematica avrà come effetto un vero innesto della macchina elettronica sul cervello delle generazioni future. Internet diventerà la memoria individuale e collettiva dell’umanità. Perché continuare a sforzarci di memorizzare i fatti basilari ed essenziali che ancor oggi determinano la nostra cultura e la nostra sensibilità? Immagazzinati in Internet questi fatti saranno immediatamente disponibili in qualsiasi momento. Cosa faremo allora dell’energia mentale che verrà così liberata? C’è da sperare, ed è mia intima convinzione, che essa si trasformerà in energia sensibile, capace di arricchire e stimolare l’esercizio globale dei nostri sensi, cominciando dalla vista e dall’udito, per continuare con il gusto, l’olfatto ed il tatto. Avremo così verso il mondo un approccio organico globale ed un’aura di comunicazione più sinteticamente sensoriale.
Le Radiografie di Meneghetti rispondono a quest’incremento dell’attività sensoriale in seno alla nostra attività percettiva. Si deve considerare questo “al di là dell’occhio” vicino ad un altro attuale fenomeno sintomatico: la progressiva oggettivazione concettuale del nostro corpo. Siamo ben lontani dagli esordi della Body Art! La strategia operativa di un’artista come Orlan è significativa: viviamo nel regno del corpo mutante. Questo corpo, sede del nostro afflato vitale e della nostra identità, è divenuto il luogo principe dei nostri scenari esistenziali. L’immagine radiografica del corpo propostaci da Meneghetti è inscindibile dalle prime battute di un racconto che prende in considerazione la globalità percettiva del nostro nuovo modo di vedere. Ecco perché l’esploratore dell’“al di là della routine” aggiunge la penna del giornalista alle molteplici corde del suo arco. La sua multimedialità ci richiama all’ordine della percezione del futuro. Bombardato da una moltitudine di messaggi informatici simultanei, l’uomo della cultura globale ne opererà un’autoselezione. E questo potere autoselettivo coinciderà in fin dei conti con la misura della sua sensibilità e della sua cultura umanista.
Renato Meneghetti è un uomo del suo tempo: vive al giusto ritmo dell’evoluzione della nostra coscienza percettiva. Nel caos della nostra epoca, questo genere d’uomo è tanto raro quanto un clavicembalo ben temperato in un concerto “techno”, e la “techno”, per di più, a Meneghetti piace davvero: sono contento di condividere con lui qualcosa di familiare.

Pierre Restany - Parigi, Settembre 2000