L’ “AURA VIANDANTE”
a cura di Paolo Rizzi

Un caposcuola? Le radiografie di vent’anni fa oggi sono diventate una moda del costume estetico. L’artista ha anticipato un tema che dal 1979 s’è irradiato in modo esplosivo nel mondo. Una sorta di preveggenza in quello che è diventato “un esercizio collettivo sopra la vita e la morte”

Analisi storico-critica

Lui la chiama “aura viandante”. La definizione è poetica, ma pertinente: rende. C’è qualcosa, nell’aria, che si diffonde da un magma iniziale (direi da un big bang): un pensiero, un’idea, quindi anche una forma. Forse un ectoplasma.
Non occorre inoltrarsi nella parapsicologia nelle dottrine della trasmissione del pensiero, o magari nella reincarnazione. La scienza ha studiato a fondo il fenomeno. La società degli uomini non è fatta di elementi isolati: viviamo tutti in un’unica biosfera, respiriamo la stessa aria, ci nutriamo nel nostro passato, cioè di quel che è rimasto (e gira nell’ “aura”, appunto) di fatti di ieri o di secoli fa. Certe coincidenze gli storici non le interpretano così.
E’ una continua inter-trasmissione, uno scambio di nozioni e di spinte virtuali. L’arte stessa è tutta un’irradiazione: i grandi pittori o scultori hanno lasciato il “segno” non soltanto nelle loro opere ma nello Zeitgeist, nello “spirito del tempo”. Sono grandi perché ci hanno dato una loro impronta vitale. Noi, magari inconsciamente, la captiamo; e ce ne appropriamo.
Nel 1979 ad una figlia di Renato Meneghetti capitò un “guaio”. Meneghetti la portò a curare da vari specialisti: a Ginevra, a New York a Boston ecc.. Era un dramma familiare. Meneghetti si ritrovò tra le mani tutta una serie di radiografie. Quelle lastre, infilate nelle buste gialle lo ossessionarono: egli non sapeva “leggerle” ma capiva che nascondevano un linguaggio “parlante”, che precisavano la natura del male.
Le radiografie finirono per inondare persino il suo tavolo da atelier di pittore; si mescolavano alle precedenti pitture, in particolare alle “fagocitazioni” su cui lavorava da molti anni. S’è verificato uno straordinario mixage. La figlia guarì. Meneghetti cominciò a rielaborare pittoricamente quelle radiografie.
Nacque allora una serie di opere che continua tuttora e che ha avuto, nel tempo, un successo strepitoso. L’artista passò ben presto all’intero corpo umano cioè alle radiografie di una tibia o di uno sperone, di un cranio o di un femore, di un’arcata dentaria o delle falangi delle dita. La radiografia veniva “virata”, trasformata, interpretata: diventata un’opera a sé, un’opera d’arte.
Da allora Meneghetti, che è un attento osservatore del costume estetico, si mise a studiare metodicamente tutto ciò che riguardava la radiografia che cominciava ad essere “adoperata” nel campo non solo dell’arte ma della grafica pubblicitaria, del design, della moda (si occupò anche delle derivazioni filosofiche). Si rese conto che, prima di lui, la radiografia aveva interessato solamente studiosi che ne avevano anche dedotto teorie scientifiche (ad esempio Hippolyte Baraduc nel 1896 con la sua “iconografia dell’invisibile”); ed era sorta tutta la corrente di pensiero (la Naturphilosophie che, con Swendenborg e Kerner, postulava l’esistenza di radiazioni invisibili in grado di metterci in comunicazione con altri universi). Nel campo specifico dell’arte non c’era praticamente alcun precedente, salvo un certo uso, peraltro improprio, delle impressioni radiografiche con Robert Rauschenberg (1968).
Semmai i pittori avevano sperimentato impronte larvali o, come Man Ray avevano riprodotto “aloni di oggetti” fotografati. Niente, comunque, che riguardasse proprio la radiografia “pittorica”. Tutto un filone di ricerche su “ciò che c’è dietro l’immagine” aveva interessato i “pittori dell’inconscio” (a partire da Füssli e Blake, quindi da Ensor e Munch) ma con esiti ben diversi, Meneghetti, in poche parole, si trovava ad essere l’iniziatore di un modo nuovo di dipingere con l’uso della radiografia.
Questa è stata la prima scoperta. Poi ne è seguita un’altra, ancor più interessante. Da quel 1979, e soprattutto in questi ultimi anni, si è verificata una sorta di clamorosa moltiplicazione dell’uso della radiografia sia nella pittura cosiddetta pura, sia nell’immagine pubblicitaria. Con meticolosità di ricercatore scientifico, Meneghetti ha redatto un lunghissimo elenco di “applicazioni” estetiche della radiografia. Sono centinaia e centinaia di casi. Come mai prima del 1997, non se ne era verificato nessuno, e da allora è sorta una autentica “proliferazione”? Chi ha esaminato, uno per uno, i singoli casi è rimasto impressionato. Sembra (diciamo prudentemente: sembra) che Meneghetti sia stato il “prototipo”, colui che ha dato l’avvio alla lunga serie di variazioni sul tema.
Un fitto dossier lo conferma. Artisti e grafici pubblicitari si sono sbizzarriti nell’uso delle radiografie di parti umane con coincidenze impressionanti. In taluni casi si potrebbe arrivare a parlare di plagi veri e propri. Meneghetti non vuole forzare troppo l’interpretazione. Ma è proprio per questo che egli parla di “aura viandante”. Si sente - i documenti glielo confermano - un innovatore, un anticipatore del gusto: colui che ha dato il “la” ad un linguaggio che si è diffuso rapidamente soprattutto sulle riviste, nei manifesti, sulle copertine dei dischi, nella pubblicità in genere; oltre che nella pittura vera e propria.
Sia ben chiaro: nulla di “miracoloso” in ciò. La storia ci dice (limitiamoci pure al campo della pittura) di artisti che hanno anticipato il gusto e sono diventati dei veri e propri capiscuola. Giorgione, ad esempio, è vissuto pochi anni; ma in quei pochi (praticamente il primo decennio del Cinquecento) ha in un certo senso esaminato la pittura successiva. Il giorgionismo è stato una moda per secoli. Lo stesso s’è verificato (non spaventino i paragoni) per Caravaggio: quand’è arrivato a Roma intorno al 1592, ha irradiato un’ “aura” che s’è diffusa nel giro di pochissimi anni in tutta Europa; e lui, ramingo nel Sud, tra Malta e Napoli, probabilmente non se n’è nemmeno accorto.
La cosa curiosa è che non sono, talvolta, le opere a diffondersi, ma quel certo modo, quella particolare declinazione linguistica, quel costume estetico, quello “stile”. Il Barocco forse non l’ha inventato Lorenzo Bernini, ma certo da lui è scaturita quella scintilla che poi ha acceco il fuoco. Gli esempi possono avvicinarsi al nostro tempo. Tanti pittori hanno rappresentato “l’urlo”; ma chi ha dipinto “l’urlo” è stato Edvard Munch; e da lui s’è diffusa tutta una visualizzazione di quello che resta un rumore, un suono, cioè teoricamente irrapresentabile. Più banalmente: era consapevole Picasso quando fece di un manubrio di bicicletta le corna di un toro, di aprire nell’immaginazione popolare una sorta di rapporto, di contatto psicologico tre questi due elementi di per sé estranei? Ci sono sempre stati questi anticipatori: in sostanza hanno fiutato per primi un vento che stava arrivando. Ciò è dipeso da una loro particolare sensibilità, da una capacità di antevedere. Il lavoro degli stilisti dell’abbigliamento è tutto in questa direzione. Niente da meravigliarsi, quindi, se Meneghetti abbia aperto, con le sue radiografie, una strada che pochi anni dopo tanti “creativi” (e non creatori) hanno percorso.
C’è da chiedersi, piuttosto, perché la moda delle radiografie si sia imposta in questi ultimissimi anni. In fondo è passato ben più di un secolo da quando (1895) il fisico tedesco Röntgen scoprì fortuitamente che un irradiamento non visibile impressionava la lastra fotografica e offriva in trasparenza le prime immagini del corpo umano in vita. Quanti milioni di persone, da allora, si sono trovati di fronte ad una radiografia?
A parte la possibilità (medica) di “leggere” la lastra, c’è tutta una curiosità, anche morbosa, che ha preso e prende ancora chi si pone di fronte ad una radiografia. Sembra quasi che possiamo “vedere oltre”, entrare all’interno dell’organismo umano per scoprirne l’anima (ànemos: vento portatore di vita): cosicché la radiografia diventa proprio un “viaggio alla scoperta dell’uomo” (Freud). Ma chi s’era mai posto, fino a ieri, il bisogno di far “alitare” esteticamente le immagini radiali?
Il merito (se così si può dire) sarà stato magari di quell’invasione di lastre radiografiche sul suo tavolo di pittore. Sta di fatto che questo è avvenuto: ed è avvenuto come mai era avvenuto in passato. Da allora s’è diffusa la moda. E’ come se il genere umano si fosse accorto delle qualità anzitutto comunicative, poi anche estetiche ed artistiche, della radiografia.
Quelle luminescenze larvali, quell’affiorare in negativo di strutture ossee, quell’entrare sotto la pelle, dentro la carne, tra le venature, in mezzo ai muscoli; soprattutto quel senso di stupefatto mistero, quasi di tabù, nell’avventurarsi all’interno di un altro essere umano e magari quel ritrovarsi in un tunnel a metà tra la vita e la morte, anzi a due passi dalla morte.
La ricerca anatomica attraverso la luce, il percepire, quasi le oscure pulsioni di un organismo: l’avvicinarsi, quasi impudicamente , alle origini della specie, al primo nucleo cosmogenico.
Tutto ciò è recentemente diventato una curiosità collettiva: ed è stato via via adoperato dagli strumenti della comunicazione per suscitare in noi sensazioni strane, inedite, nuove. La pubblicità s’è insinuata sotto l’epitelio trasparente da cui siamo ricoperti; ed ha messo in luce nessi psichici, sensazioni, desideri subconsci, brividi funerei o erotici, il respiro nascosto delle cose. La membrana ha lasciato passare lo sguardo di tanti voyeurs. Certo, i grandi media se ne sono accorti ed hanno messo il dito sulla piaga. Le radiografie, più o meno esplicite, sono apparse sui manifesti, sulle pagine patinate delle riviste, sulla catena di pubblicità che ci inonda; naturalmente sono entrate nello schermo, hanno invaso i computer.
Come s’è detto, Meneghetti ha raccolto una lunghissima serie di esempi, che hanno del sorprendente proprio perché si sono moltiplicati nel giro di pochissimi anni: soprattutto negli ultimi tre-quattro anni. Le prime radiografie pittoriche di Meneghetti datano 1979: e già nel 1981 assumono una fisionomia inconfondibile sia per l’intervento pittorico sia per le splendide “deformazioni psichiche” (chiamiamole così) cui danno luogo. Lui, Meneghetti, sorride quando gli si ricordano tutte le derivazioni (sia ben chiaro: soltanto in parte diretta) cui la sua operazione ha dato il via. Dice : “Mi sorprendo ancora sfogliando le riviste, accendendo il televisore, andando al cinema, camminando per le strade. Le mie radiografie, vent’anni dopo, sono tornate come veicoli di grande comunicazione”.
La sorpresa di Meneghetti è più che giustificata in quanto confermata da fatti inoppugnabili. Basti qualche esempio: la Kellog’s usa la radiografia del bacino per affermare che il suo prodotto fa bene alle ossa (1997). Anche Kelly Hansen, produttrice di abbigliamento tecnico, presenta nella sua pagina pubblicitaria una radiografia di una mano (1997). Ancora: la mano che porge il bastoncino Findus è una radiografia (1998); l’abbigliamento sportivo della Energie (1998); una tibia o un cranio frontale per dire che i prodotti sono sicuri. Gli esempi continuano: investono ditte commerciali ma anche artisti veri e propri. Steve Miller ha vinto un concorso internazionale per la Coppa del mondo di calcio usando la radiografia di un piede col pallone. Gli artisti che usano oggi le radiografie sono tanti: Katharina Sieverding, Daniele Galliano, David Stuart, Peter Dazely, Richard Stock, Nick Vaccaro, Dorothy Young Riess, David Job, Robert Gligorov, Thomas Hager, Wim Delvoye e via via tanti altri.
Certi casi - occorre ben rilevarlo - non sono coincidenze: sono quelle che Meneghetti, sia pure ironicamente, chiama “appropriazioni indebite”. Un esempio è quello di John Richmond che nel 1998 per ben due volte invita alla presentazione delle sue collezioni a Milano con lastre radiologiche contenute in una busta di radiologia d’ospedale; “la stessa che Meneghetti aveva qualche mese prima inviato per l’invito alla sua mostra personale a Palazzo Sarcinelli a Conegliano”. Qui si tratta realmente di “irradiazioni”. Ma forse che Picasso, quando inventò il Cubismo nel 1907/8 non si trovò subito dopo tutta una catena di imitatori?
Un’invenzione o una scoperta , quando nascono dalla generalità di un individuo, diventano quasi subito patrimonio culturale dell’umanità, Meneghetti in un certo senso è lieto anche delle imitazioni: orgoglioso persino dei plagi. Ma soprattutto la consapevolezza di aver aperto - non si sa come e perché - una strada. Osserva: “Tutto ciò mi sorprende e anche atterrisce perché, in questa sorte di esercizio diventato collettivo sopra la vita e la morte, la sofferenza diventa una sorta di preveggenza, le idee come le fagocitatrici pittoriche del 1968 sono viandanti: una sorta di aura prende la via dello spazio e arriva, arriva non so dove...”
Qui subentra una convinzione che diventa obiettiva: Meneghetti è effettivamente (chi potrebbe negarlo) un caposcuola, magari inconsapevole. Da quel giorno che si è trovato, da solo, a meditare sulle radiografie, è diventato “qualcosa che cammina nel mondo”. Potrei aggiungere una frase di Nietzsche: “Gli artisti non sono dei viaggiatori, non comperano il biglietto di andata e ritorno. Sono dei viandanti. Partono per terre ignote.”
Scrive Gillo Dorfles […Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni… …Oggi, che l’uso del medium radiografico è estremamente diffuso in molte situazioni pittoriche e in molto materiale pubblicitario, il tipo di tecnica usato da Meneghetti non desta più sorpresa o scandalo; bisogna per altro riconoscere che egli è stato indubbiamente tra i primi - e forse il primo in assoluto a comprendere l’interesse estetico oltre che scientifico di questo mezzo; e soprattutto a individuare il significato profondo di tale impiego. E, infatti, la sua opera non si può apprezzare a pieno se non si tiene conto di quella che è stata l’origine prima della stessa come ho appunto ricordato.
Il che giustifica l’uso così anticipatore (1979) di questa tecnica come base d’una progettazione artistica.
E, infatti, ognuna di queste radiografie costituisce lo stimolo dal quale l’artista ha saputo e sa recuperare uno spunto immaginifico. La primitiva “lastra” infatti si trasforma, volta in volta, in ritratto, in composizione astratta, ma anche in paesaggio, in catena di montagne, in mareggiata, ecc...
A seconda dei casi gli stessi colori “aggiunti” all’evanescente trama fotografica acquistano una valenza, ora naturalistica, ora decorativa, e permettono a Meneghetti di inventare delle situazioni storiche, cronachistiche, familiari, politiche ecc…].
Meneghetti è partito più di vent’anni fa. Come per tutti gli artisti la sua destinazione era allora “ignota”.
Ma il “viandante” ha già lascito dietro di sé un segno indelebile. Appunto: un’aura.

Paolo Rizzi

 

ANALISI STORICO - CRITICA
a cura di Paolo Rizzi

Lui la chiama “aura viandante”. La definizione è poetica, ma pertinente: rende.
C’è qualcosa, nell’aria, che si diffonde da un magma iniziale (direi da un big bang): un pensiero, un’idea, quindi anche una forma. Forse un ectoplasma.
Non occorre inoltrarsi nella parapsicologia nelle dottrine della trasmissione del pensiero, o magari nella reincarnazione. La scienza ha studiato a fondo il fenomeno. La società degli uomini non è fatta di elementi isolati: viviamo tutti in un’unica biosfera, respiriamo la stessa aria, ci nutriamo nel nostro passato, cioè di quel che è rimasto (e gira nell’ “aura”, appunto) di fatti di ieri o di secoli fa. Certe coincidenze gli storici non le interpretano così.
E’ una continua inter-trasmissione, uno scambio di nozioni e di spinte virtuali. L’arte stessa è tutta un’irradiazione: i grandi pittori o scultori hanno lasciato il “segno” non soltanto nelle loro opere ma nello Zeitgeist, nello “spirito del tempo”. Sono grandi perché ci hanno dato una loro impronta vitale. Noi, magari inconsciamente, la captiamo; e ce ne appropriamo.
Nel 1979 ad una figlia di Renato Meneghetti capitò un “guaio”. Meneghetti la portò a curare da vari specialisti: a Ginevra, a New York a Boston ecc.. Era un dramma familiare. Meneghetti si ritrovò tra le mani tutta una serie di radiografie. Quelle lastre, infilate nelle buste gialle lo ossessionarono: egli non sapeva “leggerle” ma capiva che nascondevano un linguaggio “parlante”, che precisavano la natura del male.
Le radiografie finirono per inondare persino il suo tavolo da atelier di pittore; si mescolavano alle precedenti pitture, in particolare alle “fagocitazioni” su cui lavorava da molti anni. S’è verificato uno straordinario mixage. La figlia guarì. Meneghetti cominciò a rielaborare pittoricamente quelle radiografie.
Nacque allora una serie di opere che continua tuttora e che ha avuto, nel tempo, un successo strepitoso. L’artista passò ben presto all’intero corpo umano cioè alle radiografie di una tibia o di uno sperone, di un cranio o di un femore, di un’arcata dentaria o delle falangi delle dita. La radiografia veniva “virata”, trasformata, interpretata: diventata un’opera a sé, un’opera d’arte.
Da allora Meneghetti, che è un attento osservatore del costume estetico, si mise a studiare metodicamente tutto ciò che riguardava la radiografia che cominciava ad essere “adoperata” nel campo non solo dell’arte ma della grafica pubblicitaria, del design, della moda (si occupò anche delle derivazioni filosofiche). Si rese conto che, prima di lui, la radiografia aveva interessato solamente studiosi che ne avevano anche dedotto teorie scientifiche (ad esempio Hippolyte Baraduc nel 1896 con la sua “iconografia dell’invisibile”); ed era sorta tutta la corrente di pensiero (la Naturphilosophie che, con Swendenborg e Kerner, postulava l’esistenza di radiazioni invisibili in grado di metterci in comunicazione con altri universi). Nel campo specifico dell’arte non c’era praticamente alcun precedente, salvo un certo uso, peraltro improprio, delle impressioni radiografiche con Robert Rauschenberg (1968).
Semmai i pittori avevano sperimentato impronte larvali o, come Man Ray avevano riprodotto “aloni di oggetti” fotografati. Niente, comunque, che riguardasse proprio la radiografia “pittorica”. Tutto un filone di ricerche su “ciò che c’è dietro l’immagine” aveva interessato i “pittori dell’inconscio” (a partire da Füssli e Blake, quindi da Ensor e Munch) ma con esiti ben diversi, Meneghetti, in poche parole, si trovava ad essere l’iniziatore di un modo nuovo di dipingere con l’uso della radiografia.
Questa è stata la prima scoperta. Poi ne è seguita un’altra, ancor più interessante. Da quel 1979, e soprattutto in questi ultimi anni, si è verificata una sorta di clamorosa moltiplicazione dell’uso della radiografia sia nella pittura cosiddetta pura, sia nell’immagine pubblicitaria. Con meticolosità di ricercatore scientifico, Meneghetti ha redatto un lunghissimo elenco di “applicazioni” estetiche della radiografia. Sono centinaia e centinaia di casi. Come mai prima del 1997, non se ne era verificato nessuno, e da allora è sorta una autentica “proliferazione”? Chi ha esaminato, uno per uno, i singoli casi è rimasto impressionato. Sembra (diciamo prudentemente: sembra) che Meneghetti sia stato il “prototipo”, colui che ha dato l’avvio alla lunga serie di variazioni sul tema.
Un fitto dossier lo conferma. Artisti e grafici pubblicitari si sono sbizzarriti nell’uso delle radiografie di parti umane con coincidenze impressionanti. In taluni casi si potrebbe arrivare a parlare di plagi veri e propri. Meneghetti non vuole forzare troppo l’interpretazione. Ma è proprio per questo che egli parla di “aura viandante”. Si sente - i documenti glielo confermano - un innovatore, un anticipatore del gusto: colui che ha dato il “la” ad un linguaggio che si è diffuso rapidamente soprattutto sulle riviste, nei manifesti, sulle copertine dei dischi, nella pubblicità in genere; oltre che nella pittura vera e propria.
Sia ben chiaro: nulla di “miracoloso” in ciò. La storia ci dice (limitiamoci pure al campo della pittura) di artisti che hanno anticipato il gusto e sono diventati dei veri e propri capiscuola. Giorgione, ad esempio, è vissuto pochi anni; ma in quei pochi (praticamente il primo decennio del Cinquecento) ha in un certo senso esaminato la pittura successiva. Il giorgionismo è stato una moda per secoli. Lo stesso s’è verificato (non spaventino i paragoni) per Caravaggio: quand’è arrivato a Roma intorno al 1592, ha irradiato un’ “aura” che s’è diffusa nel giro di pochissimi anni in tutta Europa; e lui, ramingo nel Sud, tra Malta e Napoli, probabilmente non se n’è nemmeno accorto.
La cosa curiosa è che non sono, talvolta, le opere a diffondersi, ma quel certo modo, quella particolare declinazione linguistica, quel costume estetico, quello “stile”. Il Barocco forse non l’ha inventato Lorenzo Bernini, ma certo da lui è scaturita quella scintilla che poi ha acceco il fuoco. Gli esempi possono avvicinarsi al nostro tempo. Tanti pittori hanno rappresentato “l’urlo”; ma chi ha dipinto “l’urlo” è stato Edvard Munch; e da lui s’è diffusa tutta una visualizzazione di quello che resta un rumore, un suono, cioè teoricamente irrapresentabile. Più banalmente: era consapevole Picasso quando fece di un manubrio di bicicletta le corna di un toro, di aprire nell’immaginazione popolare una sorta di rapporto, di contatto psicologico tre questi due elementi di per sé estranei? Ci sono sempre stati questi anticipatori: in sostanza hanno fiutato per primi un vento che stava arrivando. Ciò è dipeso da una loro particolare sensibilità, da una capacità di antevedere. Il lavoro degli stilisti dell’abbigliamento è tutto in questa direzione. Niente da meravigliarsi, quindi, se Meneghetti abbia aperto, con le sue radiografie, una strada che pochi anni dopo tanti “creativi” (e non creatori) hanno percorso.
C’è da chiedersi, piuttosto, perché la moda delle radiografie si sia imposta in questi ultimissimi anni. In fondo è passato ben più di un secolo da quando (1895) il fisico tedesco Röntgen scoprì fortuitamente che un irradiamento non visibile impressionava la lastra fotografica e offriva in trasparenza le prime immagini del corpo umano in vita. Quanti milioni di persone, da allora, si sono trovati di fronte ad una radiografia?
A parte la possibilità (medica) di “leggere” la lastra, c’è tutta una curiosità, anche morbosa, che ha preso e prende ancora chi si pone di fronte ad una radiografia. Sembra quasi che possiamo “vedere oltre”, entrare all’interno dell’organismo umano per scoprirne l’anima (ànemos: vento portatore di vita): cosicché la radiografia diventa proprio un “viaggio alla scoperta dell’uomo” (Freud). Ma chi s’era mai posto, fino a ieri, il bisogno di far “alitare” esteticamente le immagini radiali?
Il merito (se così si può dire) sarà stato magari di quell’invasione di lastre radiografiche sul suo tavolo di pittore. Sta di fatto che questo è avvenuto: ed è avvenuto come mai era avvenuto in passato. Da allora s’è diffusa la moda. E’ come se il genere umano si fosse accorto delle qualità anzitutto comunicative, poi anche estetiche ed artistiche, della radiografia.
Quelle luminescenze larvali, quell’affiorare in negativo di strutture ossee, quell’entrare sotto la pelle, dentro la carne, tra le venature, in mezzo ai muscoli; soprattutto quel senso di stupefatto mistero, quasi di tabù, nell’avventurarsi all’interno di un altro essere umano e magari quel ritrovarsi in un tunnel a metà tra la vita e la morte, anzi a due passi dalla morte.
La ricerca anatomica attraverso la luce, il percepire, quasi le oscure pulsioni di un organismo: l’avvicinarsi, quasi impudicamente , alle origini della specie, al primo nucleo cosmogenico.
Tutto ciò è recentemente diventato una curiosità collettiva: ed è stato via via adoperato dagli strumenti della comunicazione per suscitare in noi sensazioni strane, inedite, nuove. La pubblicità s’è insinuata sotto l’epitelio trasparente da cui siamo ricoperti; ed ha messo in luce nessi psichici, sensazioni, desideri subconsci, brividi funerei o erotici, il respiro nascosto delle cose. La membrana ha lasciato passare lo sguardo di tanti voyeurs. Certo, i grandi media se ne sono accorti ed hanno messo il dito sulla piaga. Le radiografie, più o meno esplicite, sono apparse sui manifesti, sulle pagine patinate delle riviste, sulla catena di pubblicità che ci inonda; naturalmente sono entrate nello schermo, hanno invaso i computer.
Come s’è detto, Meneghetti ha raccolto una lunghissima serie di esempi, che hanno del sorprendente proprio perché si sono moltiplicati nel giro di pochissimi anni: soprattutto negli ultimi tre-quattro anni. Le prime radiografie pittoriche di Meneghetti datano 1979: e già nel 1981 assumono una fisionomia inconfondibile sia per l’intervento pittorico sia per le splendide “deformazioni psichiche” (chiamiamole così) cui danno luogo. Lui, Meneghetti, sorride quando gli si ricordano tutte le derivazioni (sia ben chiaro: soltanto in parte diretta) cui la sua operazione ha dato il via. Dice : “Mi sorprendo ancora sfogliando le riviste, accendendo il televisore, andando al cinema, camminando per le strade. Le mie radiografie, vent’anni dopo, sono tornate come veicoli di grande comunicazione”.
La sorpresa di Meneghetti è più che giustificata in quanto confermata da fatti inoppugnabili. Basti qualche esempio: la Kellog’s usa la radiografia del bacino per affermare che il suo prodotto fa bene alle ossa (1997). Anche Kelly Hansen, produttrice di abbigliamento tecnico, presenta nella sua pagina pubblicitaria una radiografia di una mano (1997). Ancora: la mano che porge il bastoncino Findus è una radiografia (1998); l’abbigliamento sportivo della Energie (1998); una tibia o un cranio frontale per dire che i prodotti sono sicuri. Gli esempi continuano: investono ditte commerciali ma anche artisti veri e propri. Steve Miller ha vinto un concorso internazionale per la Coppa del mondo di calcio usando la radiografia di un piede col pallone. Gli artisti che usano oggi le radiografie sono tanti: Katharina Sieverding, Daniele Galliano, David Stuart, Peter Dazely, Richard Stock, Nick Vaccaro, Dorothy Young Riess, David Job, Robert Gligorov, Thomas Hager, Wim Delvoye e via via tanti altri.
Certi casi - occorre ben rilevarlo - non sono coincidenze: sono quelle che Meneghetti, sia pure ironicamente, chiama “appropriazioni indebite”. Un esempio è quello di John Richmond che nel 1998 per ben due volte invita alla presentazione delle sue collezioni a Milano con lastre radiologiche contenute in una busta di radiologia d’ospedale; “la stessa che Meneghetti aveva qualche mese prima inviato per l’invito alla sua mostra personale a Palazzo Sarcinelli a Conegliano”. Qui si tratta realmente di “irradiazioni”. Ma forse che Picasso, quando inventò il Cubismo nel 1907/8 non si trovò subito dopo tutta una catena di imitatori?
Un’invenzione o una scoperta , quando nascono dalla generalità di un individuo, diventano quasi subito patrimonio culturale dell’umanità, Meneghetti in un certo senso è lieto anche delle imitazioni: orgoglioso persino dei plagi. Ma soprattutto la consapevolezza di aver aperto - non si sa come e perché - una strada. Osserva: “Tutto ciò mi sorprende e anche atterrisce perché, in questa sorte di esercizio diventato collettivo sopra la vita e la morte, la sofferenza diventa una sorta di preveggenza, le idee come le fagocitatrici pittoriche del 1968 sono viandanti: una sorta di aura prende la via dello spazio e arriva, arriva non so dove...”
Qui subentra una convinzione che diventa obiettiva: Meneghetti è effettivamente (chi potrebbe negarlo) un caposcuola, magari inconsapevole. Da quel giorno che si è trovato, da solo, a meditare sulle radiografie, è diventato “qualcosa che cammina nel mondo”. Potrei aggiungere una frase di Nietzsche: “Gli artisti non sono dei viaggiatori, non comperano il biglietto di andata e ritorno. Sono dei viandanti. Partono per terre ignote.”
Scrive Gillo Dorfles […Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni… …Oggi, che l’uso del medium radiografico è estremamente diffuso in molte situazioni pittoriche e in molto materiale pubblicitario, il tipo di tecnica usato da Meneghetti non desta più sorpresa o scandalo; bisogna per altro riconoscere che egli è stato indubbiamente tra i primi - e forse il primo in assoluto a comprendere l’interesse estetico oltre che scientifico di questo mezzo; e soprattutto a individuare il significato profondo di tale impiego. E, infatti, la sua opera non si può apprezzare a pieno se non si tiene conto di quella che è stata l’origine prima della stessa come ho appunto ricordato.
Il che giustifica l’uso così anticipatore (1979) di questa tecnica come base d’una progettazione artistica.
E, infatti, ognuna di queste radiografie costituisce lo stimolo dal quale l’artista ha saputo e sa recuperare uno spunto immaginifico. La primitiva “lastra” infatti si trasforma, volta in volta, in ritratto, in composizione astratta, ma anche in paesaggio, in catena di montagne, in mareggiata, ecc...
A seconda dei casi gli stessi colori “aggiunti” all’evanescente trama fotografica acquistano una valenza, ora naturalistica, ora decorativa, e permettono a Meneghetti di inventare delle situazioni storiche, cronachistiche, familiari, politiche ecc…].
Meneghetti è partito più di vent’anni fa. Come per tutti gli artisti la sua destinazione era allora “ignota”.
Ma il “viandante” ha già lascito dietro di sé un segno indelebile. Appunto: un’aura.

Paolo Rizzi - Maggio 2000