“Vi ho cercato”
a cura di Francesco Buranelli
(Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa)

Il 16 ottobre 1978, alle 18 di sera, dopo la fumata bianca, i fedeli accorsi in piazza San Pietro attendono che si apra la finestra della Loggia delle Benedizioni della Basilica apostolica. L’anziano cardinale Pericle Felici appare, inquadrato dalle telecamere di tutto il mondo, e pronuncia la frase rituale: “Annuntio vobis gaudium magnum, habemus papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum Carolum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Wojtyla, qui sibi nomen imposti Ioannem Paulum II”.

Il 264° Pontefice Romano è un polacco! Il primo papa non italiano dopo oltre quattro secoli e mezzo: dal 1523, anno di morte dell’olandese Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens d'Edel, 1522 - 1523). Il conclave era stato breve: due giorni in tutto, solo sei votazioni. Il 14 ottobre, 111 cardinali elettori erano tornati in conclave, a sole sei settimane dal precedente per la morte prematura di papa Luciani intonando il Veni Creator Spiritus, un canto antico di oltre mille anni, che invoca l’intercessione dello Spirito Santo. Seguendo un rito secolare le porte della Cappella Sistina vennero sigillate dopo che il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche ebbe proclamato “Extra omnes!” (Tutti fuori!).

La stampa aveva, come sempre, avanzato pronostici sul futuro pontefice: i favoriti erano i cardinali Giuseppe Siri di Genova, e Giovanni Benelli di Firenze che rappresentavano, rispettivamente, l’ala conservatrice e quella progressista del collegio Cardinalizio. La contrapposizione dei due schieramenti sembrava riguardare il futuro della Chiesa, ma in realtà rispecchiava soprattutto la difficile situazione politica e sociale dell’Italia. Molto rapidamente, però, la scelta dei cardinali si orientò sul futuro della Chiesa universale, con uno sguardo globale che andò ben oltre i confini della questione italiana. Sarà il Cardinale di Vienna König, visto l’empasse delle votazioni, ad avanzare la candidatura del giovane cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, che prorompe con forza e nel giro di due votazioni guadagna la maggioranza dei voti: il lunedì mattina Wojtyla aveva preso appena 11 voti, il pomeriggio arriva a 47, per essere poi eletto alla seconda votazione del pomeriggio con 99 voti su 111. Accettò la sua elezione con le parole: «Con l'obbedienza della fede a Cristo, mio Signore, e con fiducia nella madre di Cristo e della Chiesa, nonostante le grandi difficoltà, accetto».

In omaggio al suo predecessore, molto amato dai cattolici italiani, assumerà il nome di Giovanni Paolo II. Fin dalla sua prima apparizione sulla loggia, Giovanni Paolo II rompe gli schemi, non si limita ad impartire la benedizione alla folla, ma pronuncia un breve e spontaneo saluto: “Ed ecco gli eminentissimi cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto in spirito di ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso sua Madre, la Madonna Santissima”.

Poi sorridendo aggiunse: “Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete”.

Il piccolo errore grammaticale suscitò immediatamente un moto di simpatia e di affetto che, da quello storico giorno non verrà mai meno durante i ventisette anni di pontificato. Fin dai primi giorni il nuovo Pontefice porta un’aria nuova nella chiesa di Roma: è giovane e vigoroso, ha una bella presenza ed una voce profonda, impugna il pastorale come un vessillo ed incita tutti a non avere paura.
Aspetto energico, dunque, e vita sportiva. La nuova, inedita, piscina fatta scavare a Castel Gandolfo, le amatissime e frequenti passeggiate in montagna (per molti anni quasi ogni martedì “fuggiva” con il fidato segretario dalla Porta di Sant’Anna per trascorrere qualche ora nei vicini Appennini), lo sci praticato con il presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini (socialista e partigiano, non credente, con cui ebbe un ottimo rapporto), creano l’immagine del tutto nuova per un pontefice, che viene soprannominato l’ “atleta di Dio”.
In quel periodo era ampiamente diffuso il senso di una pesante crisi che avvolgeva la Chiesa, testimoniata soprattutto dalla crisi delle vocazioni e dalle sempre più frequenti critiche all’amministrazione finanziaria vaticana nonché da generalizzate contestazioni alla gerarchia della Curia.

Giovanni Paolo II dovrà partire proprio da questa crisi e affrontare passo dopo passo tutte le difficoltà di un pontificato che si presentava complicato e pieno di insidie. Molte sono le chiavi di lettura del celebre discorso della Messa inaugurale del suo pontificato: “Non abbiate paura ad accogliere Cristo e di accettare la sua potestà. Aiutate il papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!”

Nelle parole di incoraggiamento del nuovo Papa ognuno si sente chiamato in causa: si avverte l’invito alla resistenza non violenta rivolto alle popolazioni oppresse dalle dittature - con uno sguardo speciale all’est dell’Europa; l’incoraggiamento ad ogni cristiano, ovunque nel mondo, ad avanzare con serenità sulle orme di Cristo; risuona l’invito ai sacerdoti della Chiesa Cattolica ad impugnare la croce e farsi testimoni veri del Vangelo.

Il primate di Polonia cardinale Wyszynski, in un intenso abbraccio pubblico, gli premonirà proprio in quell’occasione che sarebbe stato lui a traghettare la Chiesa nel nuovo millennio. Wojtyla lavorò moltissimo, si confrontò, contemporaneamente, con la Curia romana e con i problemi del mondo.
Visiterà praticamente tutte le parrocchie di Roma, a cominciare da quella, nel popolare quartiere della Garbatella, dove aveva prestato la sua opera quando era un giovane sacerdote-studente. Non si lascia chiudere nei confini angusti dal Vaticano ed inizia ben presto il suo cammino di Papa Pellegrino, Pastore dei popoli del mondo, viaggiando più di tutti i suoi predecessori e visitando paesi che non avevano mai ricevuto la visita di un pontefice.
Percorse, nei ventisette anni di pontificato, una distanza pari a tre volte e mezzo lo spazio tra la Terra e la Luna. Il viaggio per Giovanni Paolo II ebbe sempre un obbiettivo preciso, fu il mezzo preferito per raggiungere di persona il popolo di Dio. 104 viaggi pastorali lo porteranno in ogni angolo del mondo: 127 i paesi visitati, 54 viaggi in Europa - di cui 9 dedicati alla sua Polonia, 7 negli Stati Uniti, 11 nell’America meridionale. Volerà moltissime volte in Asia ed in Africa, la cui povertà e difficoltà lo commossero profondamente. Con un gesto che diverrà celeberrimo, all’arrivo in ogni paese ne bacerà il suolo.
Si mostra a milioni di fedeli, saluta personalmente più persone possibili, abbraccia bambini e malati, accarezza anziani e diseredati. In ogni paese suscita interesse e entusiasmo, con i suoi discorsi davanti alle moltitudini riesce a mettere i potenti del mondo di fronte alle loro responsabilità a difesa della dignità del genere umano più debole e perseguitato.
E’ cittadino del mondo, Pontefice romano, ma la sua terra, la Polonia lo ha formato e ne ha influenzato il modo di pensare, di concepire la dignità dell’uomo e la sua libertà; ha forgiato il suo senso di nazione - intesa come comunità di cultura, religione e lingua - e rafforzato in lui il valore dell’unità europea. Egli era polacco, ma nello stesso tempo era europeo, fortemente radicato nell’intera tradizione europea forgiata dal cristianesimo.

Il Papa si rivolge alla gente comune, ritrova i suoi fratelli polacchi, visita Varsavia, Cracovia, Auschwitz, e la Polonia si riscopre unità nelle parole del suo Papa polacco: “Non bisogna avere paura, bisogna aprire le frontiere”, profetizzò senza timore.

Molti sostengono che Wojtyla sia stato l’artefice della “caduta del comunismo”. In realtà i regimi dell’Est erano entrati in una crisi inarrestabile e fisiologica che il papa seppe sfruttare per scuoterne le fondamenta perseguendo una sua unità europea dalle profonde radici cristiane. Per questo Giovanni Paolo II vorrà celebrare, sette anni dopo la caduta del Muro di Berlino, l’unificazione della Germania: quando, già curvo dalla malattia, volle attraversare a piedi, la porta di Brandeburgo a fianco di Helmut Kohl, mancava l'altro grande protagonista della liberazione dell'Europa, Michail Gorbaciov, che il papa aveva avuto modo di conoscere in Vaticano quando la polvere della caduta del muro non si era ancora posata sul nuovo assetto politico che l’Europa stava assumendo.

Giovanni Paolo II si è battuto contro il comunismo dei regimi atei che stringevano in una morsa di autoritarismo militare e di aridità spirituale l’Est dell’Europa, ma, d’altra parte, ha denunciato le pesanti responsabilità di un capitalismo e di un Occidente opulento che sembrano rifiutare Dio. Dunque non fu solo oltre la cortina di ferro che il Papa lanciò il suo rinnovamento: nella visita gli Stati Uniti d’America, nel tempio del capitalismo, il Papa polacco rivolge il suo sguardo critico ai simboli del capitalismo, a Wall Street, a Manhattan; la Statua della Libertà potrà ritrovare il suo vero significato solo se è accompagnata dalla giustizia sociale e dalla verità in Cristo: “Cristo stesso ha congiunto la libertà con la conoscenza della verità e la libertà non può essere capita se non in virtù della verità rivelata. La libertà non può essere usata per dominare i deboli, per sperperare le risorse naturali, per negare agli uomini le necessità essenziali”.

Wojtyla esprimerà la sua azione evangelizzatrice nel mondo nelle sue prime encicliche, la Redemptor hominis del 1979 e la Dives in Misericordia del 1980, in cui l’umanesimo cristiano e la pietà emergono come gli unici autentici strumenti di liberazione dell’uomo. La sua concezione della dottrina sociale della chiesa prenderà corpo nell’enciclica Centesimus Annus del 1991.

Una nuova sfida si delinea contro il “capitalismo selvaggio”, il papa si rende conto che, in un mondo globalizzato, tutti i paesi poveri o a economia fragile sono sottoposti alle insostenibili pressioni delle grandi multinazionali che scavano nuove profonde frontiere tra il ricco Nord e il povero Sud del mondo. Non temerà nemmeno il confronto diretto con la mafia; ad Agrigento, sconvolto dall’incontro con i genitori del giudice Livatino, “martire della giustizia ed indirettamente della fede”, ucciso per mano dei sicari della cosca agrigentina, attaccherà frontalmente Cosa Nostra scagliando il suo terribile e indimenticabile anatema: “Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio”.

Ancora una volta Wojtyla in nome della pace sociale rivendica il “diritto alla vita” degli uomini. L’azione innovatrice del Papa non verrà fermata né tantomeno attenuata dal grave attentato che subì il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro durante un’udienza generale. Un evento drammatico compiuto da Mehmet Alì Agca, un giovane terrorista originario della Turchia, dietro al quale si celavano oscuri scenari di intrighi internazionali mai completamente chiariti. “Erano le 17,19 quando si sentì il primo sparo, poi subito dopo, il secondo colpo. Il Santo Padre si accasciò su un fianco, addosso al segretario personale che gli sedeva accanto”.

La prima pallottola mortale gli devastò l’addome, la seconda gli sfiorò il gomito fratturando l’indice della mano sinistra. La jeep rientrò di corsa in Vaticano, e proseguì immediatamente verso il Policlinico Gemelli dove il Papa sarà sottoposto ad un lungo e delicato intervento chirurgico a causa delle gravi condizioni.

Dopo cinque ore e mezza di sala operatoria il Papa viene dichiarato fuori pericolo, ma sarà solo con un radio messaggio trasmesso da Radio Vaticana la settimana successiva che Giovanni Paolo II fa risentire la sua voce: “Prego per il fratello che mi ha colpito, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo”. Il mondo, scosso dall’evento, respira di sollievo, il papa è molto affaticato, ma è salvo! L’origine dell’attentato resta un mistero e, d’altra parte, il Papa non mostrò alcun interesse nel seguire le indagini e i processi. Nel famoso incontro con il suo attentatore non fu interessato a scoprire quali poteri occulti e maligni lo avessero armato, ma meravigliò il suo mancato assassino dimostrandogli con il perdono e la comprensione che esisteva una forza più potente del maligno, che aveva salvato il Papa.

Alì Agca venne condannato all’ergastolo con una sentenza che non chiarì i mandanti: “L’attentato non fu opera del delirio di un delinquente che fece tutto da solo senza l’aiuto di nessuno, ma fu frutto di una macchinazione complessa orchestrata da menti occulte interessate a creare nuove condizioni destabilizzanti”. Evidentemente i colpevoli sono da ricercare in coloro che temevano l’azione evangelizzatrice del Papa e della Chiesa.

A Giovanni Paolo II, invece, non importava più chi poteva aver attentato alla sua vita, piuttosto era interessato a chi, in quella circostanza, lo avesse protetto da una morte sicura. La pallottola che aveva attraversato il suo addome aveva stranamente seguito una traiettoria irregolare, evitando tutti gli organi vitali: “Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte (...) Il proiettile mortale si fermò e il papa vive - vive per servire!" Il Papa ebbe molto a riflettere sull’attentato, perpetrato nell’anniversario della prima apparizione della Vergine di Fatima, e si convinse che la Madonna stessa fosse intervenuta per guidare la traiettoria del proiettile durante l'attentato di cui era stato vittima.

Si fa portare il testo del terzo segreto di Fatima - secretato nell’impenetrabile archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede - che letto alla luce dei fatti del 1981 viene interpretato dall’allora Prefetto della Congregazione card. Joseph Ratzinger, come il tentativo di uccidere un “vescovo vestito di bianco” che i veggenti di Fatima ebbero “ ... il presentimento che fosse il Santo Padre”.

Il 13 maggio 1982, esattamente un anno dopo l’attentato, il giorno della festa della Madonna di Fatima, il Papa si recò in pellegrinaggio nel suo santuario in Portogallo per ringraziare la Vergine della protezione ricevuta e per consacrare il mondo intero a Maria, come egli stesso aveva personalmente anticipato con la “M” di Maria e con il motto “Totus tuus” del suo stemma papale. A perenne memoria di questi fatti Giovanni Paolo II volle che la pallottola dell’attentato fosse fatta incastonare nella corona della statua ad indicare che le forze del male mai prevarranno su quelle del bene. Nei ventisette anni di pontificato, Giovanni Paolo II attraversa diversi scenari storici: dalla guerra fredda alla caduta del blocco comunista in Europa, dalla globalizzazione alla rinascita dei nazionalismi, fino alla lotta al terrorismo internazionale. Si schiera sempre e comunque contro la guerra, a favore della vita, della dignità, della libertà ricercando sempre una soluzione pacifica ai conflitti. Per la prima volta nella storia la Santa Sede assunse ruoli di mediazione nelle guerre che sconvolsero il mondo. Fu così nella guerra tra il Cile e l’Argentina (due paesi cattolici) agli inizi degli anni Ottanta; tra il Regno Unito e l’Argentina nel 1982 per il possesso delle isole Falkland. Purtroppo senza successo rimase lo storico il tentativo di mediazione che il papa tentò durante la prima crisi del Golfo, che portò la guerra in Iraq, quando inviò i suoi cardinali a parlare con i presidenti degli Stati Uniti d’America e dell’Iraq.

Il continuo ricorso all’ONU, il categorico “NO” alla guerra, la meticolosa ricerca della pace attraverso il dialogo lo convinsero ad indire nel 1986 l’incontro di Assisi con tutti i leader religiosi del mondo riuniti per una comune ed universale preghiera di pace. Giovanni Paolo II chiama nella città di San Francesco gli appartenenti a tutte le confessioni del mondo per una giornata di preghiera e di riflessione comune. Sacerdoti, animisti, rabbini, bonzi, imam, shintoisti, sikh… Assisi si trasforma in un crogiolo di fedi e di lingue, con 160 membri ufficiali in rappresentanza di 60 delegazioni. Un susseguirsi di incontri e di preghiere che verrà poi ripetuto nel gennaio 2002 e che darà vita all’impostazione teologica detta “spirito di Assisi” e che assegnò al pontificato un primato morale, internazionalmente riconosciuto.
Per il Pontefice occorre recuperare il coraggio e la speranza nel Prossimo. Per questo avvia una puntuale analisi storica dei “peccati” che la Chiesa ha commesso nel corso della sua plurisecolare storia e inizia una lunga serie di richieste di “perdono”. La prima ferita che desidera sanare è quella nei confronti della scienza: egli voleva tornare a far dialogare la teologia con le scienze e ritornare sugli errori dello storico processo contro Galileo Galilei.

Poi chiederà perdono per gli orrori commessi dalle armate “cristiane” nel corso delle Crociate, per gli errori nell’evangelizzazione cinquecentesca dell’America, per l’Inquisizione, per l’integralismo medievale e così via, fino allo storico viaggio a Gerusalemme nel 2000 quando Giovanni Paolo II sorprenderà il mondo intero depositando nella fessura del Muro del Pianto la richiesta di perdono per tutti i torti inflitti agli ebrei e per la Shoà. Giovanni Paolo II pronunciò novantaquattro “mea culpa”, purificando la memoria storica della Chiesa e restituendogli maggiore unità verso le sfide del nuovo millennio. Assisi, Berlino e Gerusalemme costituiscono le tappe più significative di questo percorso, luoghi di arrivo, ma anche luoghi per una nuova partenza della Chiesa “di Wojtyla” pronta a vivere in un mondo sempre più in rapida evoluzione nel confronto multi religioso, nel quale le Giornate Mondiale della Gioventù costituiscono la più valida intuizione di Wojtyla per garantire un radioso futuro alla Chiesa. Le Giornate Mondiali della Gioventù cominciarono ufficialmente nel 1986 e poi proseguirono a Buenos Aires, Santiago de Compostela, Czestochova, Denver, Manila, Parigi, Roma e Toronto: otto raduni oceanici ai quali Giovanni Paolo II partecipò sempre personalmente instaurando un profondo e diretto legame con i giovani che a tutt’oggi rappresentano l’eredità più consistente della Chiesa “di Wojtyla”. Nel raduno di Roma per il Grande Giubileo del 2000, supereranno addirittura i due milioni di presenze provenienti da 159 diversi paesi del mondo. I ragazzi si riversarono festosi nella capitale della cristianità e si strinsero al Papa in un abbraccio ideale e gioioso testimoniandogli quanto viva fosse tornata ad essere la Chiesa con la sua guida.

Il Grande Giubileo del 2000 diventa per Wojtyla un obiettivo prioritario con il quale la Chiesa di Roma entrerà nel terzo millennio della sua storia, come aveva profetizzato il cardinale Wyszynski nel lontano 1978.
La Porta Santa di San Pietro aperta dal papa la notte di Natale del 1999 verrà attraversata da più di trenta milioni di fedeli provenienti da tutto il mondo per purificare l’anima ed invocare il perdono dei peccati e la misericordia di Dio.

Purtroppo con il passare degli anni e con i postumi dell’attentato l’immagine vigorosa del papa neoeletto, amante del nuoto e dello sci, si era andata gradualmente trasformando in una figura dal fisico appesantito e curvo su se stesso, che camminava e parlava con difficoltà.
Pur logorato dalla malattia, Giovanni Paolo II non si sottrasse agli impegni del suo ministero petrino. La sofferenza e il dolore non li nascose mai, anzi li offrì fino all’ultimo in dono al Signore. E’ così che lo ricordiamo, pochi giorni prima di morire, quando - oramai immobilizzato sulla sedia - partecipò per la prima volta non di persona, ma dalla sua cappella privata alla tradizionale Via Crucis del venerdì santo del Colosseo abbracciato con tutte le sue esigue forze al crocifisso.
Benedetto XVI lo ricordò invitandoci a meditare “davanti a questa immagine di dolore, davanti al Figlio di Dio sofferente, dinanzi al Signore condannato, che non volle usare il suo potere per scendere dalla croce, ma piuttosto sopportò la sofferenza della croce fino alla fine”.

Purtroppo le sue condizioni peggioreranno sempre più e la sera del 2 aprile 2005, alle ore 21,37, il Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Leonardo Sandri, annunciò al mondo intero accorso in preghiera a piazza San Pietro: “Fratelli e sorelle, il nostro amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II è tornato alla casa del Padre”.

Immediatamente cominciò il tempo dell’omaggio, tutto il mondo si fermò per salutarlo, arrivarono a Roma i potenti della Terra, ma soprattutto migliaia e migliaia di uomini e di donne comuni e tanti, tanti giovani, i suoi “Papa boys”, che si strinsero per l’ultima volta in un caloroso abbraccio al loro amico Papa proclamandone la santità. “Santo, subito!” incitavano i giovani. Quelli stessi giovani ai quali il Papa, stremato nelle forze, ma ancora lucido aveva dedicato sul letto di morte il suo ultimo pensiero: “Vi ho cercato, adesso siete venuti da me e per questo vi ringrazio”.