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PENSIERI MINIMI

LA FUGA DI UN ARTISTA DENTRO IL SISTEMA

Un artista pieno di creatività è scomparso.
Ma il sistema è chiuso, gli artisti non possono uscire, l'artista si trova nel sistema. Il sistema è stato controllato e l’artista non c’è, l’artista era diretto verso la verità, ma l’artista non è mai arrivato. Come si spiega che un artista possa circolare nel sistema da 50 anni senza essere mai visto? Proprio così.
Di fatto l'arte non può essere vista. Questo artista, MR, senza presentare nessun limite, con tutto il sistema funzionante appieno, con altri 3.000 artisti in circolazione? In qualche punto della sua carriera è svanito, si è imbattuto in un nodo. Con il sistema che funziona appieno, si è imbattuto in un nodo, un nodo non è una ostruzione. Un nodo è una peculiarità, un polo di un ordine superiore, credo che ciò sia causato dai critici, dal mercato. Il sistema è di una spaventosa complessità e i critici, il mercato ne hanno fatto una cosa assolutamente singolare. Non ho ancora capito del tutto, ma posso dedurre che il sistema si comporta come il nodo di Moebius. Una superficie con una sola faccia lungo la quale posso creare all’infinito senza poter essere notato, riconosciuto. A dire il vero il sistema è al di là della mia portata, non posso fare altro che continuare a creare.
Se eliminassimo il sistema, i critici e il mercato?
L'artista non apparirà mai, ma se riapparisse non è detto che appaia nella giusta ispirazione. In questo caso è probabile il suicidio dell'artista.
E’ come dire che l’artista è entrato in una dimensione altra, chè è andato, che è sparito, che non si trova nel sistema. Cosa potete fare per riportare l’artista nel sistema, in questo sistema?
Per me la pittura è bella ... è finito. Si presume che io dia una spiegazione di quello che voglio dire, la cosa assurda è che non ho nessuna spiegazione, perchè non ne ho nessuna e ne sono l’autore, come posso spiegare quello che trasmettono le mie opere, ciò lo sento per me, non per loro. Siamo diversi.
In certi quadri e spazi, il tempo resta immobile. Scienza e Filosofia e Arte sono molto vicine. Tutto ciò è semplicemente ridicolo. L'artista incrocia un nodo dopo le Biennali Musica e Cinema 1981 - 1983 e per combinazione giusta al momento giusto scattano le proprietà per applicare il nodo di Moebius.
L’uomo ha inventato una infinità di macchine ma ha dimenticato che egli stesso è una macchina più complicata di quelle che ha inventato. Non ci sono mai stati limiti, l’uomo non conosce i suoi limiti nè le sue possibilità, non sa fino a che punto non riconosce. Siamo talmente occupati a cercare valori esteriori che non ci rendiamo conto di ciò che realmente ha valore. Basterebbe dirlo per cambiare, ma io l’ho detto.
Forse qualcuno ti ha creduto? Viviamo in un mondo dove nessuno più ascolta.
Cosa penso di fare? Niente, arriverà il momento.
L'arte dei nostri tempi è senza dubbio un simbolo dei nostri tempi, un labirinto dove possiamo leggere un bilancio, rivedere una situazione e cercare di raggiungere lo spirito, un cambiamento di vita. E' uno strano gioco, ci caliamo in centinaia di quadri senza renderci conto che ad ogni cambio di quadro stiamo cambiando definitivamente il nostro sentire, il nostro essere. Nelle mostre. Ho scoperto il più potente osservatorio, ma non avrei mai pensato che fosse così difficile usare questo osservatorio, ottenere spazi dove poter osservare. Non potranno mai svegliarsi prima di rendersi conto di essersi addormentati.
Ho paura delle vertigini. E’ normale nessuno può trovarsi di fronte all’infinito senza provare le vertigini, nessuno può vedere la mia opera senza sentirsi profondamente disorientato. Mi sto muovendo nella velocità del pensiero, come posso essere affascinato da questa vita privata di attrattive di ingenuità, di spontaneità. Come non preferire di restare qui, nell’anonimato se là fuori un mare di sordità, di cecità, ci sta trascinando irrimediabilmente disgraziati, ignorati. Ma la mia opera non può andare perduta. Nè gli uomini nè il tempo spariscono senza lasciare traccia. Restano impressi nelle nostre anime.

E’ TORNATO L'ARTISTA. PORTATELO IN MOSTRA.

di Renato Meneghetti:
PENSIERI MINIMI

1968

I soldi sono i motori della rivoluzione.

Creare un paradiso consumistico dove non ci sia traccia di sangue.

 

1970

Le mie fagocitatrici strane e ripugnanti sono la voce, la coscienza del popolo, e dei miei problemi interiori.

 

1977

I miei elementi fagocitanti apriranno gli occhi al mondo.

 

1979

I miei scarabocchi anarchici e blasfemi.


1980

Risalgo la corrente della morte perché dove nasce il fiume c’è Dio.

La mia arte si propone di raggiungere il fondo dell’animo umano per dargli stilettate fino a farlo risalire.

L’artista ha il dovere di vedere le cose senza filtro e quindi il diritto di deformarle e di denunciarle in modo violento e offensivo.

Non ho un buon motivo per riprendere.
Riprendere è un modo per ricongiungersi a se stessi.
Ma in fondo non c’è nulla da cui sono riuscito a staccarmi.

L’arte, una linea di Rabbia che ho ancora addosso.

Dice il bramino: “Guardati attorno, tutto questo sei tu”.
Io non voglio riconoscermi: questa non è la mia faccia.

Diventeremo tutti di pietra, ci pietrificherà l’orrore che viviamo. Solo il sorriso di un bambino ci potrà salvare.

Ho creato questi simboli per far vedere come l’uomo viene fagocitato, assorbito dalla società, la quale gli toglie ogni personalità, ogni valenza positiva, morale, e lo lascia nudo, abbattuto, vizioso.
In realtà, ho cercato dentro me stesso. Ho cercato di guardare, e spesso la paura mi ha bloccato. Sai, quando prendi tra le mani qualcosa di viscido, un serpente che ti guarda negli occhi e ti dice “non mi riconosci? io sono te stesso”: è una piccola morte quel che hai trovato. E istintivamente la rifiuti. Di colpo, di scatto cerchi di gettarla, di allontanarti da lei, puoi allora trovare l’energia per misurare questa violenza, registrarla, denudarla. Puoi averla in tuo potere, vincere la nausea della sua vista, obbligarla a rivelarsi, scassinarla, violarla, sezionarla.
A te resterà la comprensione, la coscienza di non subire più le sottili costrizioni, le turbe, i plagi del male.
Ti sei liberato del marcio, dal guasto. E quel senso di terrore che hai gettato ha costruito dentro di te una cittadella, un castello fortificato, mentre fuori di te le tue mani hanno formulato il suo orrendo ritratto.
Ho avuto come artista la forza di vivere la piccola morte.
La mia avventura di artista sta tutta qui, nel vivere la piccola morte.

Ogni vizio si sceglie accuratamente, non lo sapevi? Diventa intimamente tuo, condiziona le tue reazioni, le tue decisioni, le preferenze; ti guida quando hai delle alternative. Anche la virtù, fa questo. Ma quanto più forza ha la cattiva abitudine, il difetto, la tara, la debolezza. E’ la violenza del male, in fondo, sul bene.

... Bisogna puntualizzare: se coloro che appaiono i “dottrinari dell’antidottrina”, i “nuovi filosofi dell’immagine”, gli “sperimentatori per eccellenza” sostengono che sia decretato notevole solo ciò che la fotografia fotografa perché in tal modo il “qualunque cosa diventa così il massimo sofisticato del valore, perché in sostanza la foto diventa sorpresa dal momento che non si sa perché sia stata fatta” (Roland Barthes), per me le cose stanno in modo diverso proprio a livello di scelta programmatica.
In quel caso si corre il ragionevole e concreto rischio di ricadere nelle pastoie dell’ideologia, del teorizzare prevalente all’agire, del lasciarsi fagocitare dal mezzo anziché dallo scopo: da un programma di arte, che si dirige a un programma di iconografia senza scopo preciso, che lascia tutto quanto al semplice caso e i termini reali del discorso completamente inevasi.
Qui, invece, sebbene il caso, l’iconografia e il mezzo siano presenze di non poca pregnanza, ci troviamo di fronte a una proposizione inequivocabile: il quotidiano viene rivalutato, riprogrammato ed esaltato non in quanto modalità immaginifica esteriore, bensì in quanto pregnanza temporale...

... Il mezzo fotografico, prima, fornisce il supporto tecnico e il momento tecnologico culminante: la modalità satanica del “fermati, sei bello!”, che poi si evolve nell’azione dello svolgimento, del riprendere a correre, del rifuggire la sempre presente tentazione del sostare, lasciandosi corrompere in una soluzione finale e in uno scopo “ragguardevole” raggiunto ...

Quando volgerete a me le Vostre mani volgerò gli occhi altrove perché le Vostre mani sono piene di sangue.

Celebre e squattrinato artista, potrebbe star bene ad una delle mie metà.

Sicuramente i miei parenti mi sputeranno addosso e il mondo vorrà distruggere le mie tele. Non ci riusciranno perché capiranno che è un loro ritratto.

Alcool anestesia del mondo.

Sono morti tutti e due.
Chi è morto per primo?
Quello. Questo è il campione.

Tu borghese complessato non cercare di circuirmi, non cercare di conquistare la mia fiducia.

 

1981

... Contemporaneamente do corso a un’ulteriore evoluzione verso forme estetiche più complesse e in realtà più genericamente trasferibili, perché il mio problema è quello di propormi attraverso forme di linguaggio tanto più semplici quanto più complessa diviene la materia del contendere.
Così dopo l’esperienza della trasformazione e del trasferimento effettuati con Insania, dove la dialettica si svolge in piena assonanza espressiva con l’immaginifico, dove si gioca ancora la partita sulla corda dell’offerta di una figurazione pregna di significati entro i quali indurre automaticamente il fruitore, e in cui la proposizione rimane “cristallizzata” in un fotogramma di compiuta osservanza estetica, tendo adesso a svincolarmi con gran fretta dal rischio sempre presente dell’esaurimento in una fase ancora per certi aspetti leziosa nella mia proposizione ...

... la giustificazione per tutti gli individui storici di percepire la propria limitazione, la propria ansia, la propria disgraziata sete di eternità nell’immanenza mortale del proprio stato...

... le sequenze del viaggio attraverso i luoghi della Radiografia, nelle regioni dell’corpo, dove la trasgressione muore tra i simulacri dell’apparenza, e la voce, ultima espressione dell’essere, si spegne nell’orizzonte del silenzio.
Ma, a questo punto, l’immagine consegna le vibrazioni delle ombre, dei residui. E la paura, la disperazione, la rabbia, il desiderio si ricompongono in una sinfonia...

Io sono convinto che la mostra metterà in risalto, cioè denuncerà, i mali del mondo. La gente li capirà e cercherà di essere migliore.
“Tu sei matto. I tuoi quadri sono la gente. Per cui chi ha un vizio lo riconosce e ne godrà perché è “suo”, l’ha scelto. E il quadro tuttalpiù risveglierà in lui l’istinto” a cui verrà il desiderio.

Monologo
Ho creato questi simboli per far vedere come l’uomo viene fagocitato, assorbito dalla società, la quale toglie ogni personalità, ogni valenza positiva, morale, e lo lascia nudo, abbattuto, vizioso.

In realtà, ho cercato dentro me stesso. Ho cercato di guardare, e spesso la paura mi ha bloccato. Sai, quando prendi tra le mani qualcosa di viscido, un serpente che ti guarda negli occhi e ti dice “non mi riconosci? io sono te stesso”, è una piccola morte che hai trovato. E istintivamente la rifiuti. Di colpo, di scatto cerchi di gettarla, di allontanarti da lei. Ma è parte di te, non puoi farci niente. E’ lì. Se hai abbastanza forza puoi alzare ancora gli occhi; e se senti le ragioni chiare e decise, puoi trovare l’energia per misurare questa violenza, registrarla, denudarla. Puoi averla in tuo potere, vincere la nausea della sua vista, obbligarla a rivelarsi, scassinarla, violarla, sezionarla.
A te resterà la comprensione, la coscienza di non subire più le sottili costrizioni, le turbe, i plagi del male.
La procedura è completa. La frase, la ricetta, la formula ha esorcizzato quella particolare piccola morte, quel serpente putrido che avevi prima guardato con tanto terrore, con lo sgomento di riconoscerlo anche in te, e questo è terribile, spaventoso.
Ma quando rinasci padrone, identifichi, distingui, ammetti, confessi, accetti.
E riconosci quella schifosa piccola serpe comune a tutti quelli che hai conosciuto e, allargando, capisci che è parte di ogni uomo.
Qui sta il senso della riproposizione. Nell’opera d’arte tutto ciò diventa denuncia: io ho avuto come artista la forza di vivere la piccola morte.
“Credo che tu ti illuda, se pensi che la gente cercherà di essere migliore dopo che avrà guardato, e capito, queste cose.
Pia illusione, la presa di coscienza. Se i tuoi quadri “sono” la gente, allora secondo me chi ha un peccato o una colpa, una disonestà o una perversione la riconoscerà, certo. Però non per negarla. Ne godrà, invece. Lo divertirà ritrovarla, lo conforterà sapere di dividere “le proprie preferenze” con altre persone, di non essere solo, insomma. E ne godrà. Certo. Gusterà in quel quadro, l’essenza del suo vizio; e si compiacerà della sua scelta.
Ogni vizio si sceglie accuratamente, non lo sapevi? diventa intimamente tuo, condiziona le tue reazioni, le tue decisioni, le preferenze; ti guida quando hai delle alternative. Anche la virtù, fa questo. Ma quanto più forza ha la cattiva abitudine, il difetto, la tara, la debolezza.
E’ la violenza del male, in fondo, sul bene. E’ la comodità del male, anche. E l’utilità. Quando l’egoismo personale ti spinge a non badare ai mezzi che usi, e qualunque sistema va bene pur di raggiungere l’obiettivo, allora anche il vizio, per te, è conveniente, allora qualsiasi ingiustizia è opportuna e qualsiasi male vantaggioso.

Che cosa voleva da me! il mio corpo o il mio genio.
Sono entrambi in vendita.

Denaro ti vorrei ti rinnego — ti violento o meglio ti dimentico proprio.

Investirò il mondo come un uragano ricoprendolo di merda fagocitante.

Corruzione e denaro dominano il mondo — ma non il mio genio.

Ed io continuo a correre, a correre, a correre, ed il mio animo è preso dal denaro.

Vi dispenso dal credere in me.

L’albero: radici - foglia - terra - sole
Bisogno dei due
Due uguale: avere essere.

Il cuore — la testa, cambiali di posto.

Beato lui che non cammina in segno del denaro.

Non sono un Dio — sono un uomo — da quanto tempo sono qui.
Dicono che io porterò la libertà.

Pagami prima di cominciare — sono un prodotto garantito.

Stanno distruggendo i nostri cervelli riducendoli come polvere di neon. Eccolo il nostro strumento di morte: la televisione. SALVATE i bambini!!!

...C’è chi dice: un quadro che sveli il vizio lo renderà odioso.
C’è chi dice: un quadro che svela il vizio lo legittima di fronte ai casti, lo vivifica nei perversi...

 

1982

... Così l’evoluzione delle esigenze distillate attraverso le nuove terminologie, mi conduce a fare una riconsiderazione su me stesso e sulla mia attività, lo sbocco in una nuova opera, in cui sia possibile estrinsecare e sintetizzare le mie molteplici e instabili necessità...

I miei sono pretenziosi sproloqui di un genio.

Rifiuto ogni legame con ogni canone comunemente accettato e riconosciuto.

Arte sii tu il mio pastore, il mio salvatore insegnami tu la strada, salvami.

Il perché di tutto ciò: credo di essere immortale!

Sono come morto, peggio di morto se al mondo non arriva il mio genio.

Quando la società sarà finita Voi sarete finalmente liberi. E così la libertà è questa.

Il nostro unico pensiero è far denaro.

Una nuova vibrazione mi vedrete da lontano sono sensazionale.

E disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza: ed ei presieda a’ pesci del mare, e a’ volatili del cielo, e alle bestie, e a tutta la terra, e a’ tutti i rettili che si muovono sopra la terra...
E benedisseli Dio, e disse: crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra e assoggettatela; e abbiate dominio sopra i pesci del mare, e i volatili dell’aria, e tutti gli animali che si muovono sopra la terra.

“Nuovi filosofi dell’immagine”, gli “sperimentatori” per eccellenza sostengono che sia decretato notevole solo ciò che la fotografia racchiude, perché in tal modo “qualunque cosa assurge così a massimo sofisticato del valore espressivo, perché in sostanza la foto diventa realtà dal momento” (Roland Barthes). Per me le cose stanno in modo diverso proprio a livello di scelta programmatica.
Se Barthes avesse ragione, correremmo il ragionevole e concreto rischio di ricadere nelle pastoie dell’ideologia, del teorizzare prevalente all’agire, del lasciarsi fagocitare dal mezzo anziché dallo scopo: partiti da un programma d’arte, si arriva a un programma di iconografia senza scopo preciso, che lascia tutto quanto al semplice caso e abbandona i termini reali del discorso (uno è quello del quando e quanto l’immagine è arte e quanto e quando non è) completamente inevasi.

…Questo significa che il pittore che si trova lontano dal mondo del sistema, deve avere dei mezzi propri, oppure deve contare sull’elemosina che gli viene offerta; la pioggia che cade dal cielo non porta i piaceri di osservare le Stelle nel loro scopo divino…

 

1983

... La coscienza della necessità di trasferire la mia immagine dal particolare all’universale, dalla concupiscenza sensuale dell’oggetto, all’esaltazione carismatica del soggetto: l’onere di pormi il concreto problema del divenire archetipo di tutta la manifestazione della realtà umana nella essenzialità delle sue linee conduttrici, rappresenta per me una esaltazione di non poco momento e, sotto il profilo estetico della sua materiale e concreta rappresentazione, una sfida pienamente adatta alle mie caratteristiche...

... Ma è importante che io abbia preso coscienza di una simile realtà, perché ciò mi ha permesso di determinarmi e di vincolarmi a un mio proprio personalissimo credo estetico che se certamente è suscettibile di critica e opinabilità, d’altro canto gode di una non dubbia originalità d’insieme e di interessanti risvolti di futuro approfondimento...

... Il mio dilemma di sempre, la lotta fra il mio esagitato attivismo e il risultato operativo sempre fisso al presente, stremato nel vincolo della staticità immaginifica — e quindi della tendenziale cristallizzazione del significato che sento divenire ogni volta troppo fine a se stesso — mi stimolano verso una attuazione di questa mia trovata coscienza della realtà dell’uomo verso una forma di offerta estetica evolutiva in senso dinamico...

Quando l’ho fatto credevo non servisse a nessuno ma l’ho fatto come meglio ho potuto.

In me è molto sottile il filo tra genio e pazzia.

Sei arrivato, ora sei il migliore.

Gli occhi attoniti del popolo guardano al cielo, chiedono: chi ci libererà dal tiranno?
Come posso farlo io!

E’ bello fingere vero?
No!
Ma almeno lo abbiamo pensato.

Il dolore lo sente il mio corpo, non io.

Sono disperato!
Vi supplico guardatemi!
Recito bene vero?

Non sono io in disarmonia con il mondo ma il mondo che non è in armonia con me.

Non posso uccidermi.
Non posso uccidere il mio maestro.
Non posso uccidere il mio genio.

La vostre ali sono rotte cominciate a imparare a volare.

Quelli che mi vogliono non mi avranno a poco prezzo, comunque non voglio turbare i loro sogni.

E gli fè comando dicendogli mangia di tutte le piante del paradiso. Ma del frutto dell’albero della scienza, del bene e del male, non mangiarne imperrochè in qualunque giorno tu ne mangerai, indubitatamente morrai. Tolto da questo frutto, l’uomo andava nel corpo deperendo...
Ma il serpente disse alla donna: assolutamente Voi non morrete.
Imperocchè sa Dio che, in qualunque tempo ne mangerete... sarete come Dei, conoscitori del bene e del male.
Vide adunque la donna che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi...: e colse il frutto e mangiollo; e ne diede a suo marito, il quale ne mangiò.

...Solo con le ali rotte, presi passione per il volo...

 

1984

La troppa perfezione è un errore.

Non c’è più pubblico per me.
Hei! mostro vieni qui, ti pagherò molto bene.

 

1985

... La ragione della mia opera risiede nel rappresentare l’idea, il concetto nell’immanenza del viverlo.
... Devo fissare l’idea nell’immagine e trasmettere l’immagine trasmettendo istantaneamente l’idea, per farla rivivere in ogni nervo del fruitore...

... L’universale non può estinguersi perché condannato a evolversi. La vita — attività non riduttivamente determinabile — in quanto entità metastorica, è un inevitabile continuum evolutivo. Il nocciolo centrale e l’essenza intima della filosofia della vicenda rappresentata, altro non è se non la contrapposizione del particolare con l’universale, del finito con l’infinito, della maledizione del moto fine a se stesso con l’immobilità dello scopo raggiunto. Se in una lotta estremamente personalizzata l’uomo e la divinità erano sempre rimasti in una posizione di reciproca opposta compensazione, qui abbiamo un tentativo di adeguamento con da un lato la “spersonalizzazione” della opposizione, e dall’altro il tentativo del “finito” cosciente di pervenire all’infinito...

Sono sempre profondamente insoddisfatto di tutte le mie cose...

Le radiografie testimoniano una svolta non già sociale ma Antropologica.

Non sono dominato dalla paura della morte — sono immortale e quindi la ritraggo nelle sue espressioni fagocitanti.

Ho disprezzo per me stesso, ma questo non riuscirà a salvarmi.

Ho dipinto tanto o poco, comunque sono un fallito o forse no!

 

1986

... Mi sono scoperto, metaforicamente parlando, non più mano d’autore, ma suo pennello attivo attraverso la mia propria fisica proposizione estetica, manipolata con tutti gli elementi concettuali e catartici scoperti nella mia personale ricerca di chiarezza...

Piango di notte e non ho ristoro
Piango di giorno e non ho ristoro
Arte mia - Arte mia perché mi hai abbandonato.

 

1987

... Ma è il mezzo di linguaggio assunto e da me portato avanti che mi qualifica e di cui mi importa.
Ho anche superato la singola mistificazione del fotogramma; mi sono lasciato alle spalle l’intervento tecnico sul lastrino o in diretto rapporto con esso, per ottenere un risultato estetico concepito e voluto, per operare ben altre mistificazioni...

 

1988

L’opera si riflette nello specchio che la rimanda all’altro in una teoria senza fine, questa è la mia vita immortale perché parte della teoria.

 

1990

Nessuno ti ama perché non ami nessuno...
Perché quando credi di dare in realtà anche allora stai prendendo.

 

1992

La mia opera è incominciata da te.

La mia mente ha incominciato a vagare.

...Un dipinto riuscito, il dipinto non mai dipinto sarà archetipo di tutta la realtà umana nell’essenzialità delle sue linee conduttrici...

 

1995

... Ho voluto ripercorrere la sostanza del decorso della mia ricerca fissando l’attenzione in particolare su quelle immagini richiamate e suggerite, su quei concetti espressi che mi hanno particolarmente colpito, che forse non ho segnatamente inteso secondo il primitivo intento ma secondo il misterioso processo che sovrintende all’intimo rapporto fra autore e lettore...

... Così il presente costruito, ora in piena luce e ora in ombra, ora comprensibile a una prima lettura e ora ostico e impenetrabile, non è altro che il cammino faticoso per via rinnovata nel mio animo d’artista, non rappresenta altro che quel documento filosofico che io stesso ho in realtà tratteggiato di me stesso...

Dietro Te vedo milioni di persone. Da Te milioni di geni.

Il mio mondo sarà quello che io sarò.

E’ passato il buio della mia esistenza.

 

1996

... sublimazione dell’interpolazione delle immagini, della scoperta di nuovi mondi e nuovi orizzonti da ottenersi con successive sovrapposizioni e mistificazioni finalizzate ...

Sarò il maestro della mia propria anima.

 

1997

... io interpreto via via lungo la processione delle opere queste continue morti e rinascite, oppresso per un verso dalla coscienza della limitatezza temporale, soggetta alla prepotente fatalità di un “destino” che interviene sempre a interrompere nell’attimo culminante il realizzarsi dello scopo umano, e per l’altro dall’inconscia convinzione della necessità vitale del continuo procedere, pena la completa estinzione non tanto della specie — che altro non è se non il determinismo storico —, ma della vita medesima in quanto essenza e concetto assoluto...

... In questa opera che nasce, come sono sempre nati i miei lavori, da una improvvisa intuizione e da un suo subitaneo realizzarsi attraverso un’operazione frenetica, io scopro con evidente gioia la mia perfetta adattabilità al mezzo radiografico...
Il mezzo radiografico mi fornisce la possibilità, grazie ai suoi inesauribili continui aggiornamenti sul versante tecnico, di mutare continuamente il mio programma estetico e la conseguente rappresentazione.
Non soggiace ad altro dogma se non quello di esserne l’antitesi, non c’è miglior dogma se non quello di non averne!

La morte forse è una cosa meravigliosa forse ... per gli altri.

Sono sempre nati i miei lavori da una improvvisa intuizione e subitanea frenesia…

 

1998

Sono obiettivo in modo intransigente.
Intransigente obiettività vedo nelle mie radiografie.

... Non chiedetemi qual’è il mio dilemma di sempre: è la lotta fra l’esagitato attivismo che mi prende e il risultato operativo diuturnamente rivolto al presente, stremato dal vincolo della staticità (gli oggetti che ci circondano sono “fermi” eppure la loro vita pulsa nella nostra) e quindi dalla tendenziale cristallizzazione del significato di oggetto, del messaggio che esso ci invia e che sento divenire ogni volta troppo fine a se stesso. E’ un messaggio che stimola, che m’invita — come in un piano inclinato — verso l’attuazione di una ritrovata coscienza della realtà dell’uomo, verso una forma di offerta estetica evolutiva in senso dinamico.
Queste cose, le scrivevo nel 1983. A distanza di quindici anni, sembra che l’uomo sia approdato nel Nuovo Mondo. Pensate quante cose sono cambiate in questi ultimi quindici anni. Ma non il mio pensiero. Anzi, molte volte rileggendomi come a distanza di un secolo, mi faccio i complimenti. Oppure mi sento intimamente ridicolo.

 

1999

Un uomo che sceglie di percorrere la strada del cielo deve percorrerla da solo, forse per questo non so amare e sono poco amato.

Nel mondo, nel civilissimo mondo il serpente bellico si è svegliato dal letargo e ha ripreso a strisciare. Tutta l’espressione umana, quella che in Germania chiamano vertellung, dall’arte alla natura, dall’architettura alla comunicazione viene centrata dai missili intelligenti: ho visto i miei scheletri gridare tra i viottoli di Pristina e i rifugi di Belgrado, nelle avenue di New York e i mercati di Gerusalemme, nei deserti dell’Afghanistan e del Pakistan…

Più che per ragioni estetiche o morali io dipingo, per esistere, per scoprire la vita nel mistero. Ciò che è l’inconoscibile, ciò che la scienza non può ridurre, studiare e ripetere si offre a noi nella forma autentica e originaria come la ragione suprema per vivere o morire, come il culmine della lotta eterna tra il visibile nascosto e l’invisibile apparente.

Tanti scheletri popolano le mie tele. Perché con Breton, sono un realista, vedo come in effetti siamo. E non siamo altro che scheletri che camminano. Ho utilizzato le radiografie, non come ready made, ma come provocazione, per vedere e far vedere dentro l’uomo, come viene fagocitato, assorbito, disossato, e adesso anche smembrato e clonato dalla società; l’uomo nudo, senza carne. Sotto l’epidermide, niente.

Ho cercato di guardare dentro me stesso, come in uno specchio. Ho cercato di guardarmi dentro, come sono, come sono diventato dopo 50 e passa anni di permanenza su questo pianeta. Ho cercato di guardare lo specchio come in un pozzo profondo: “Non mi riconosci? Io sono te stesso”. Ho cercato di guardare e la paura mi ha bloccato. Di colpo, di scatto ho cercato di allontanarmene. Non è vero che lo specchio riflette la nostra fedele copia. Provate ad alzare il braccio destro allo specchio, ed esso vi dirà che state alzando quello sinistro. Lo specchio mente. Ho visto in quel solo fotogramma un istante del nostro continuo decadimento: ecco, lo specchio non è che la candid camera della nostra immagine in via di estinzione.

Per il corpo umano si è aperta, si, una vera nuova epoca di immortalità, di continuità, di speranza. Un trapianto d’organo non è che un tentativo infinitesimale di reincarnazione. Ma insieme i trapianti, portano anche la psicosi della rottamazione. Come dallo sfascia-carrozze: allineati diligentemente, tutti i ricambi sono in attesa di una chiamata; secondo marca, anno e tipo. Non diversamente fanno adesso negli ospedali. In attesa del ricevente, cominciano a smembrare il donatore. Tutto per la vita, per la continuità della vita, dove la vita è lo specchio della morte: quella stessa che nelle radiografie ho fissato.

C’è un solo fatto nel mio lavoro che ancora mi sorprende e mi preoccupa: mi è capitato spesso in gioventù e mi ricapita ora in maturità, di anticipare le ‘mode’, i logos della comunicazione.
Mi sorprendo ancora sfogliando le riviste, accendendo il televisore, andando al cinema e per le strade nel vedere le radiografie, quelle che ho indagato nel 1978, usate, venti anni dopo, per la comunicazione di massa sia essa sotto forma di pubblicità o di video musicali o sequenze di film.
Tutto ciò mi sorprende e mi atterrisce perché in questo esercizio sopra la morte e la vita, nell’arte la sofferenza è una sorta di preveggenza. Le idee, come le fagocitatrici, sono viandanti: una sorta di aura che prende la via dello spazio e arriva...

C’è un solo fatto che nel mio lavoro ancora mi sorprende e mi preoccupa: mi è capitato spesso in gioventù e mi ricapita ora in maturità, di anticipare le “mode”, i logos della comunicazione.
Mi sorprendo ancora sfogliando le riviste, accendendo la televisione, andando al cinema e per le strade nel vedere le radiografie, quelle che ho indagato nel 1978 usate, venti anni dopo, per la comunicazione di massa sia essa sotto forma di pubblicità, redazionali o di video musicali o sequenze di film. Mi riempie di orgoglio e di timore che la Kellogg’s usi la radiografia del bacino per dire che il prodotto fa bene alle ossa (1997); che la Helly Hansen, produttrice di abbigliamento tecnico, presenti nella sua pagina pubblicitaria una radiografia di una mano (1997). Che la mano che porge il bastoncino Findus sia una radiografia (1998); che l’abbigliamento sportivo della Energie (1998) usi una tibia o un cranio frontale con collana per dire che i prodotti sono sicuri; che l’Adidas nel nuovo catalogo (1999) usi in copertina la radiografia di un piede; che la Thecnocolla produttrice di collanti usi un cranio quale simbolo del “padrone di casa” (1999); ancora il cranio per rappresentare la Wax, produttrice di articoli sportivi; che la Colgate, produttrice di dentifrici, usi la radiografia, usi una radiografia per comunicare la validità del prodotto (1999); che la Audi presenti la trasparenza commerciale usando una radiografia di una chiave, di una penna ecc; (1999); che la Smart, per sottolineare la resistenza della macchina usi nello spot pubblicitario come ultima immagine la radiografia della macchina e del piede del dinosauro (2000). Che la Philips comunichi che il televisore “combi” nasconde un videoregistratore e lo sveli con una radiografia (1999); che Romeo Gigli, noto stilista, esibisca una radiografia per attirare l’attenzione sulla pagina (1997); che vengano prodotte tavole da surf decorate con l’immagine rassicurante di una colonna con cranio (Workshop 1998); che dei gruppi musicali quali Roni Size (1997) Blu Vertigo (1997) Sgrang (1998) 99 Pose (1998) Modaski (1998) nel loro video mostrino il corpo senza epitelio e gli oggetti senza carrozzeria; che pittori, Steve Miller (1998) vincano concorsi per la coppa del mondo di calcio, con la radiografia di un piede con pallone e che altri artisti presentino opere sempre di ispirazione radiografica ad esempio: Katharina Sieverding (1992), Daniele Galliano (1997), David Stewart (1997), Peter Dazeley (1997), Richard Shock (1997), Nick Vaccaro (1997), Dorothy Young Riess (1997), David Job (1998), Robert Gligorov (1996-1998), Thomas Hager (1999) ecc. Nel 1998, John Rickmond, per ben due stagioni, invita gli addetti ai lavori alla presentazione delle collezioni di Milano con lastre radiografiche contenute in una busta da radiologia di ospedale, la stessa che avevo usato per l’invito ad una mostra personale a Conegliano nel 1997. Max, nel gennaio 1998 presenta “Lui e Lei” a radiografia intera e i Blu Vertigo ci riprovano nello stesso anno con un CD che riporta le radiografie di un apparecchio radio e di un arto artificiale. La Gospirit nel 1998 presenta la radiografia di una giacca sportiva con cuore sottostante “Per uomini di spirito, per donne di cuore”. Era già successo che “Le fagocitatrici” nel 1968 venissero riprese nel 1976 per presentare una linea di maglieria Miss Virgine o per dare il “Benvenuto in questo abito” da parte della San Remo (1980) o per “Sciare con la testa è importante quasi come vestirsi Marilena” (1980) o per presentare a Venezia i seminari di studio “Venezia 1980 Musica e Film” da parte dell’Assessorato alla Cultura, che nel 1997 la Philips Morris per presentare una mostra al Castello di Rivoli (TO) usi come manifesto “Multiple Identity”, così vicina ad una mia performance del 1982 contenuta nel film “Divergenze Parallele” proiettato alla Biennale Cinema di Venezia 1983 ed era già successo che il fotolibro “Insania” del 1981 (Biennale Musica di Venezia 1982) ispirasse da allora a tutt’oggi le proiezioni su corpo umano: pagina pubblicitaria Louis Vuiton (1996); Ellen Carey (1996); Patricia Mc Donough (1999); Thomas Hager (1999) ecc. Nel 1982, nel mio “Concerto per manichini e computer” gli automi sono cristallizzati nel gesto di suonare: nel 1998 la Levi’s cristallizza gli automi in un manifesto 6x3. Sergio Mazzoli nel 1997, vince un premio di design con delle lastre di travertino prese da scarti di piani di sega e stuccati con colori vari: esattamente “I tavoli” del 1972. Idem per “Maitresse” (1975) ripresa dalla Kartel (1995); Mario Botta disegna nel 1987 una caraffa per Cleto Munari, molto vicina al “Coordinato Lucky” (1971). Alla X Documenta a Kassel, Peter Kogler presenta “Sighs Trapped by Liars 1-192- Art & Language” (1996-1997) proprio come ho disegnato “Il tavolo dei Giochi” nel 1974. All’aeroporto di Malta ci sono dei pannelli che ricordano in modo impressionante la mia produzione di plastiche termoformate. E chissà quanto altro di cui non sono a conoscenza.
Tutto ciò mi sorprende e mi atterrisce perché in questo esercizio sopra la morte e la vita, nell’arte la sofferenza è una sorta di preveggenza. Le idee, come le fagocitatrici, sono viandanti: una sorta di aura che prende la via dello spazio e arriva….

Nelle mie opere radiografiche la forma è vuota e il vuoto è la forma.

Voglio andare oltre ogni illusione: non più morte né fine della morte.

Le mie opere muovono le paure della nostra psiche perché rappresentano qualcosa che non riusciamo a capire.

Sono in diretto collegamento visivo con la phenaim eisenst in DNA.

Sto compiendo un viaggio nella vita dipingendo la morte.

“Il nostro campo non è tanto quello nazionale o regionale quanto la piena coscienza di tutta la terra. Lo spirito del nostro tempo è universalistico e tutti gli elementi significativi di questa epoca additano la necessità di universalizzare la consapevolezza e la coscienza dell’uomo. Da questa coscienza dipende il nostro avvenire, la nostra unica possibilità di salvarci da un’età di oscurantismo universale”.

Solo un mezzo d’espressione per un’opera essenzialmente riflessiva, ha preso coscienza del nulla per una comunione perfetta con l’universo.

Puntare direttamente allo spirito dell’uomo, prendere consapevolezza della propria immaginazione, della propria attitudine evocativa, delle personali capacità di osservazione.

Semplicità, immediatezza e profondità, i concetti fondamentali vengono raggiunti dopo che il segno, scavando nelle forze nascoste, acquista una intensità ritmica pari all’immediatezza dello spirito.

La continua sperimentazione, l’impulso calligrafico, poi, portano l’opera a nuove dimensioni con le quali poter “creare l’impeto e la confusione, il ritmo frenetico, l’incessante pulsare delle grandi città, l’intrecciarsi della luce e delle fiumane di gente serrate nelle maglie della sua rete”, con un pensiero costante al principio dell’evoluzione, sempre oscillante tra la vita esteriore e la vita interiore, tra l’antico e il nuovo, nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo. Per cercare l’essenza della vita tra il razionale e il superrazionale, in bilico tra l’alto pensiero e l’elementare verità.

Una forza conquistata sfuggendo al problema di essere figurativo o non figurativo. Le testimonianze visive sono infatti, l’uno e l’altro a seconda dei momenti e, soprattutto, dell’esperienza umana maturata sino a quel momento. Tutto è stato naturale e perciò nulla è contraddittorio. E’, in sostanza, la legge della necessità interiore di Kandinsky, ma non nel senso dello scaturire spontaneo perché è partito ogni volta da un “motivo esterno” che ha cercato di indagare come lo spazio interiore del mondo di cui parla Rilke.

Ho respirato attraverso il segno (urgente aspirazione a un’interpretazione universale del mondo interiore nel quale è racchiuso il segreto dell’unità del Tutto) e perciò ogni segno è essenziale perché regolato sul battito del cuore moto perpetuo-essenza dell’anima. Attraverso il segno, ho superato quotidianamente lo sforzo di penetrare al di là dello specchio, di afferrare la luce che sta nell’intimo della forma, di definire questa realtà indefinita che è il principio attivo della vita.

Il segno come espressione immediata di esperienza spirituale, introspezione profonda negli abissi dell’inconscio, tracciato misterioso di una scrittura senza tempo, fertilità immaginativa.

Ho registrato minuziosamente i momenti delle mie emozioni e delle mie meditazioni portando le traiettorie della mia indagine oltre i confini di qualsiasi altra discesa nei meandri dello spirito e della psiche.

Imprevedibile nel caricare la mente del proprio computer, ho scomposto frantumato radiografato pensiero ed esistenza per ricomporre il tutto, servendosi delle proprietà generative della materia e della luce, in una serie di combinazioni variabili all’infinito e ogni volta più ricche.

Crittografia ermetica con impostazione cibernetica, ma ricca di contrasti, di un lento sfuggire ai ricordi, di un rapido porsi oltre il muro del proprio destino, di un balzo nell’ignoto alla ricerca della verità.

Ho cambiato nome (MR il fagocitato) a metà carriera per poter ricominciare da capo. Ho ripreso il mio nome (Meneghetti) per poter ricominciare da capo.

Per me è essenziale scoprire come mai la vita possa interessarmi profondamente, e ciò avviene in conseguenza del suo mistero: ciò che è inconoscibile, ciò che la scienza non può e può ridurre a una conoscenza esprimibile.
Come del resto ignoro le ragioni che ho di vivere e di morire. Sono un inguaribile ed attento indagatore dell’eterna lotta tra il visibile nascosto ed il visibile apparente.
Sono un po’ come Magritte.
La mia pennellata è banale, anzi non esiste e ciò che conta è quanto essa mostra.

L’opera si riflette nello specchio che la rimanda all’altro in una teoria senza fine, questa è la mia vita immortale perché parte dalla teoria.

Are, ere, ire. Non ditemi che sono didascalico (...credere, obbedire, combattere), ma è certo che io rispetto il passato, dell’arte e non solo. Ma è anche certo che ho diritto a vivere alla mia maniera il presente e ho il dovere di contribuire a creare, con intuizioni, progetti ed opere, il futuro mio e degli altri.
Che cosa distingue un artista da un bancario, un pittore da un metronotte, un individuo creativo da un replicante (sia detto senza offesa, io stesso per lunghi anni sono stato un fagocitato), se non l’intuizione che la società evolve col tempo e noi con la società.

Diciamo la verità, c’è una dicotomia tra il linguaggio dell’artista e quello del fruitore.
Bisogna farsi capire. Io questo problema lo sento, anche per la complessità della mia operazione. Io mi avvio verso un continua evoluzione di forme estetiche complesse ed estreme e quindi trasformo la realtà più genericamente intrasferibili in “icone” laiche, civili, comprensibilissime. Il mio problema è quello di propormi attraverso forme di linguaggio tanto più semplici quanto più complessa diviene la materia del contendere. Chi ha il coraggio di mettere un “cranio” sulla tela e intitolarlo “Ritratto di x y, mentre pensa”? Nell’immagine c’è tutto il mio fare arte. La ragione della mia opera risiede nel rappresentare l’idea, nel concetto dell’immanenza e del divenire nel vissuto.

Ho la coscienza a posto. Ho trasferito la mia immagine dal particolare all’universale: operazione che per un artista è il fondamento del suo Es (esprimere, esternare, esperire). Ma, ebbene, si, ho anche peccato: nella mia antologia di opere ho concupito sensualmente l’oggetto sino alla sua esaltazione carismatica.
Altro che iperrealismo alla John De Andrea. Se ami l’arte devi andare al cuore dell’oggetto amato e farlo saltare.
Ne devi far diventare un tuo oggetto-archetipo, che deve battere all’unisono col tuo cuore. Non altro è la lettura dei miei scheletri, delle mie lastre, delle mie radiografie, se non una clamorosa, totale “divergenza parallela”, rispetto agli iperrealisti di superficie. La realtà non è mai stata epidermica. Il vero, estetico ed esistenziale, come i reumatismi, ce lo portiamo nelle ossa.

C’è una sola cosa nel mio lavoro che ancora riesce a sorprendermi: mi è capitato spesso in gioventù e mi ricapita ora in maturità, di predire le tendenze, di anticipare le mode, le correnti di pensiero, i temi della comunicazione.
Sfogliando le riviste, accendendo il televisore, andando al cinema mi sorprendo a vedere le mie idee utilizzate (dopo) dagli altri. Ora, i casi sono due: o le “radiografie” costituiscono un logo di richiamo irresistibile e io di ciò me ne sono accorto nel 1978, oppure il mio cervello ha poteri d’irradiazione tali da condizionare gli art director e costringerli a lavorare con gli scheletri. Le idee, diventano materiale postale. Sono viandanti: una sorta di aura che prende la via dello spazio e arriva da qualche parte. Peccato che sulle ossa non c’è il copywriter.

Dice il bramino: “Guardati intorno. Tutto quello che vedi, sei tu”.
Dico io: “Ci pietrificherà l’orrore che viviamo”.
Chi ha ragione? Il bramino e i suoi millenni di saggezza o il ricercatore che vede nero nel futuro? Mi guardo in giro. Ma non mi sento colpevole o corresponsabile di quanto succede d’intorno. Ho fatto la mia parte di denunce, caro bramino. Mentre tu eri in contemplazione in qualche monastero nepalese io nel ‘68 pigliavo i calci nel sedere dai poliziotti a Padova. Mentre tu eri a fare yoga io dipingevo contro la società fagocitante (io stesso ero un fagocitato) negli stessi anni che Pasolini inveiva contro la società omologante e omologata.
Ma né il tuo ascetismo, né il mio casinismo sono serviti a nulla. La società continua a produrre replicanti. E già il primo individuo clonato (io di scheletri me ne intendo) è lì che bussa alla porta.

Importante non è intensificare la querelle sull’arte figurativa e non figurativa. Le mie “Radiografie” sono l’una e l’altra a seconda degli angoli di visuale e in base allo stato d’animo (e a quello culturale) del fruitore che si pone di fronte all’opera.
Qualunque forma, immagine, paesaggio, nuvola è fuori ma è dentro di noi. Il corpo umano contiene tutto ciò che è osservabile in natura. Un muscolo, uno stomaco, il cervello sono “paesaggi”.
Per il medico sono i paesaggi della malattia o della salute. Per l’artista sono solo forme, con o senza senso estetico.

La continua sperimentazione. L’impulso creativo, la necessità di comunicare: sono le “tre” fasi operative che mi consentono di continuare a salire lungo i tornanti dell’arte, tra le luci e le ombre, della vita, tra antichi e nuovi linguaggi mentre il paesaggio, come in montagna, è infinitamente grande e infinitamente piccolo.
Confesso alle volte di continuare a salire e di rimanere sempre allo stesso punto. Come su una scala mobile.

La fuga di un artista dentro il sistema.
Un artista pieno di creatività è scomparso.
Ma il sistema è chiuso, gli artisti non possono uscire, l’artista si trova nel sistema.
Il sistema è stato controllato e l’artista non c’è, l’artista era diretto verso la verità, ma l’artista non è mai arrivato.
Come si spiega che un artista possa circolare nel sistema da 50 anni senza essere mai visto?
Proprio così.
Di fatto l’arte non può essere vista.

Questo artista, MR, senza presentare nessun limite, con tutto il sistema funzionante appieno, in qualche punto della sua carriera è svanito, si è imbattuto in un nodo.
Con il sistema che funziona appieno, si è imbattuto in un nodo, un nodo non è una ostruzione. Un nodo è una peculiarità, un polo di un ordine superiore, credo che ciò sia causato dai critici, dal mercato. Il sistema è di una spaventosa complessità e i critici, il mercato ne hanno fatto una cosa assolutamente singolare.
Non ho ancora capito del tutto, ma posso dedurre che il sistema si comporta come il nodo di Moebius. Una superficie con una sola faccia lungo la quale posso creare all’infinito senza poter essere notato, riconosciuto. A dire il vero il sistema è al di là della mia portata, non posso fare altro che continuare a creare.
Se eliminassimo il sistema, i critici e il mercato?
L’artista non apparirà mai, ma se riapparisse non è detto che appaia nella giusta ispirazione.
In questo caso è probabile il suicidio dell’artista.
E’ come dire che l’artista è entrato in una dimensione altra, che è andato, che è sparito, che non si trova nel sistema.
Cosa potete fare per riportare l’artista nel sistema, in questo sistema?
Per me la pittura è bella ... è finito. Si presume che io dia una spiegazione di quello che voglio dire, la cosa assurda è che non ho nessuna spiegazione, perché non ne ho nessuna e ne sono l’autore, come posso spiegare quello che trasmettono le mie opere, ciò lo sento per me, non per loro. Siamo diversi.
In certi quadri e spazi, il tempo resta immobile.
Scienza e filosofia e arte sono molto vicine.
Tutto ciò è semplicemente ridicolo.
L’artista incrocia un nodo dopo le Biennali Musica e Cinema 1981 - 1983 e per combinazione giusta al momento giusto scattano le proprietà per applicare il nodo di Moebius.
L’uomo ha inventato una infinità di macchine ma ha dimenticato che egli stesso è una macchina più complicata di quelle che ha inventato. Non ci sono mai stati limiti, l’uomo non conosce i suoi limiti né le sue possibilità, non sa fino a che punto non riconosce. Siamo talmente occupati a cercare valori esteriori che non ci rendiamo conto di ciò che realmente ha valore.
Basterebbe dirlo per cambiare, ma io l’ho detto.
Forse qualcuno ti ha creduto?
Viviamo in un mondo dove nessuno più ascolta.
Cosa penso di fare? Niente, arriverà il momento.
L’arte dei nostri tempi è senza dubbio un simbolo dei nostri tempi, un labirinto dove possiamo leggere un bilancio, rivedere una situazione e cercare di raggiungere lo spirito, un cambiamento di vita. E’ uno strano gioco, ci caliamo in centinaia di quadri senza renderci conto che ad ogni cambio di quadro stiamo cambiando definitivamente il nostro sentire, il nostro essere. Nelle mostre. Ho scoperto il più potente osservatorio, ma non avrei mai pensato che fosse così difficile usare questo osservatorio, ottenere spazi dove poter osservare.
Non potranno mai svegliarsi prima di rendersi conto di essersi addormentati.
Ho paura delle vertigini.
E’ normale nessuno può trovarsi di fronte all’infinito senza provare le vertigini, nessuno può vedere la mia opera senza sentirsi profondamente disorientato. Mi sto muovendo nella velocità del pensiero, come posso essere affascinato da questa vita privata di attrattive di ingenuità, di spontaneità. Come non preferire di restare qui, nell’anonimato se là fuori un mare di sordità, di cecità, ci sta trascinando irrimediabilmente disgraziati, ignorati. Ma la mia opera non può andare perduta. Né gli uomini né il tempo spariscono senza lasciare traccia. Restano impressi nelle nostre anime.
E’ tornato l’artista. Portatelo in mostra.

Ciò che è stato non fu che illusione; e neppure l’illusione resta…

 

2000

La mia opera non è quello che vedo, è quello che sento e che sono.

Esplorando radiografie vedo oltre, d’altro, che puntualmente riscontro nel quotidiano osservare. Perché non mi riesce l’esercizio contrario?

Mi succede sempre ed è bello anticipare le cose, l’inizio delle cose, la fine delle cose, la fine del Millennio, l’inizio del Terzo.

Ieri un famoso storico dell’arte mi ha detto, quasi come critica, forse considerandolo un limite: — “Ma lei ha sempre bisogno della fotografia di base per dipingere?”— (dimenticando che in una più che recente intervista, lui stesso aveva dichiarato:”Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni”).
Io non ho ritenuto opportuno precisargli che arrivo dalla pittura pittura e che la mia espressione artistica è una sorta di maledizione per la quale vedo quello che gli altri non vedono anche dentro ad una fotografia, dentro ad una lastra radiografica (ancor di più “Aldilà dell’occhio” – bravo Vittorio).
Per questo arrivo sempre venti anni prima. Vedendo un marmo, un legno, una fotografia, una lastra radiografica, vedo oltre, vedo altro, catturando il macro nel micro e viceversa, vedo quello che i comuni non vedono. Nascono così paesaggi interiori che dall’interiore mi arrivano e che all’esterno pongo su tela che dipingo e nulla resta del pretesto, testo di partenza.
Già negli anni ‘80 compare il mio pensiero sulla fotografia che assurge ad arte: “Rivendico al mezzo fotografico e cinematografico gli stessi diritti e la pregnanza culturale del mezzo pittorico. Ho scoperto in questo mezzo la capacità della cronaca quotidiana, la rapida capacità di fissare l’evento senza sovrapposizione di imbrogli culturali.

Io trovo sempre le immagini e le immagini dietro le immagini, dopo di che l’opera.

Oggi 16 luglio 2000 ho scoperto di essere l’ultimo futurista e sottoscrivo il manifesto del 1909 e anche quello del 1910: “...Chi può credere ancora all’opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a credere senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi x?
Come si può ancora veder roseo un volto umano, mentre la nostra vita è innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo? Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto. Il pallore di una donna che guarda la vetrina d’un gioielliere è più iridescente di tutti i prismi dei gioielli che l’affascinano. Le nostre sensazioni non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali. I vostri occhi abituati alla penombra si apriranno alle più radiose visioni di luce. Le ombre che dipingeremo saranno più luminose delle luci dei nostri predecessori...”

Ho sondato oltre l’argomento quella luce serena che aspiro a rivelare, e che il mio occhio insegue nella nera notte come la falena la fiaccola che dà la morte!

L’Arte, miraggio che la vista non scorge della struttura più solida… Questo mi dà gran pena, e da sempre, la pena più grande: il timore che il nome delle cose sia sempre più importante delle cose stesse. E che sia sufficiente creare nuovi nomi e valutazioni e verosimiglianze per creare alla lunga nuove cose. Qui, l’inganno.

Conosciamo la radura dell’Essere e possiamo persino toccarlo, ma nel contempo Esso è ciò che è più lontano da noi. Siamo cantori di una tragedia, noi seduti sul trono di queste Muse che hanno occhi di demone: rammemorare sempre che l’oblio della verità dell’Essere a favore dell’imporsi dell’ente è il decadimento. Questa è mistica ascesi e liberazione per tutti.

Semplicemente abbandonata a se stessa la società riprenderebbe la sua forma primitiva, come una soluzione di sale da cucina, lasciata in pace, ci dà dei cristalli cubici?

Ormai come nuvola torno alle mie sedi, portato un soffio d’argento.

...Semplicità, immediatezza e profondità sono una cosa sola. Cerco di raggiungere questa cosa sperimentando forme e sentimenti, come il calligrafo cerca buon ritmo per la sua mano; quel ritmo in cui consuona il ritmo generale delle cose...

...L’arte è distinzione, identificazione, ammissione, confessione, sottomissione...

...I radiologi che per le loro diagnosi devono fondarsi sulle ombre più labili che compaiono in un tessuto, imparano a prezzo di un duro tirocinio, come spesso “credere sia vedere”...

L’ombra è luce, la luce è ombra.

Ho gioia delle tue parole, in questa grande commedia di abiezione che ho recitato per te…

…Quale migliore “Stanza dell’anima” di quello che abbiamo sotto l’epitelio, sotto i nervi, sotto le arterie, sotto le ossa?
E’ proprio la “Stanza dell’anima” quello che cerco con le mie radiografie.
“Aldilà dell’occhio” la “Struttura segreta” che regge le cose. L’anima

Le radiografie sono un ritratto, nel quale però non risultiamo belli ed eleganti. Risultiamo nudi. Letteralmente sembriamo una scimmia, un polipo, una figura primitiva nella nebbia… Di fronte possiamo vederci come una luna bellissima, piena e luminosa.

 

2001

“Cenere eri e cenere ritornerai”.
Tutto torna alla condizione prima.
Fin che si rende visibile godi del soffio colorato della vita. Tutto tornerà alla condizione prima. Le lastre X: grigio grigio grigio, un tocco di profondo un lampo di bianca luce. Tutto torna alla condizione prima: godi del colore fin che puoi.
“Radiografie”: Roentgen maledetto Roentgen. Proprio perchè luminescenti temono la luce solare. Creature notturne che vanno oscurate il giorno. “A caccia di ombre” e di ombra devo aggiungere.

La conservazione delle opere: il mio ricorrente incubo. Motivato del resto, perché il problema mi perseguita da più di mezzo secolo nel corso del quale ho dipinto in media venti opere all’anno e oggi sono veramente tante da conservare.
Come non bastasse per necessità interiore, ho ricomprato quasi tutto quello che avevo venduto e ora sono centinaia i metri di scaffali che si parano davanti ai mal capitati visitatori del mio studio. Studio è un eufemismo, di struttura industriale si tratta. Un po’ la warholiana factory. Il problema si è acutizzato dal 1979, anno in cui ho dato avvio al periodo “Radiografie”. La particolare tecnica usata per queste opere richiede l’uso di sofisticati colori e speciali vernici che restituiscono la luminescenza della originaria lastra. Benedetto Roentgen maledetto Roentgen. Proprio perché luminescenti temono la luce solare. Le “Radiografie”: creature notturne che vanno oscurate di giorno. Quasi oggetti di Moldoviana memoria che per fortuna non temono la luce artificiale e quindi possono essere tranquillamente esposte in interni. Come scrive Zannier “a caccia di ombre” e di ombra devo aggiungere. Ecco allora che in dei grandi sacchi di nailon nero vengono infilate le opere, preventivamente protette da uno strato di morbida ovatta che lasci respirare e non strisci la delicata vernice finale e poi in grandi scatole di cartone. A ben analizzare tutta questa serie di operazioni ancora non basterebbe. Ecco il mio incubo ricorrente.

La conoscenza e la vista non sono che un gioco infinito d’ombre... D’altra parte adoro le sfumature.

L’idea persegue una speranza per una continuazione; per un principio basato sull’immortalità.

Le radiografie sono nate da una ricerca di un nuovo mezzo espressivo con il quale visualizzare un’opera essenzialmente riflessiva che potesse risolvere la mia personale necessità interiore di trovare lo spirito dell’uomo e di mettere di fronte il fruitore delle mie opere alla sua non conoscenza delle proprie capacità immaginative, della propria capacità evocativa, della personale capacità di osservazione al fine di dargli la possibilità di scoprire che ne è pienamente dotato se riesce a vedere in un cranio, in una tibia, atolli oceanici e fiumi amazzonici.
Semplicità immediatezza e profondità, vengono raggiunti se il colore con la sua forza primordiale acquista una intensità pari a quella dello spirito.
La mia continua sperimentazione, l’impulso creativo e la necessità di comunicazione, hanno portato l’opera a nuove dimensioni che mi consentono di creare un’incessante intreccio di luci e ombre e di macchie leonardesche con un pensiero costante alla rappresentazione di vita esteriore e vita interiore, di antico e nuovo, di infinitamente grande nell’infinitamente piccolo e solo passando attraverso la rappresentazione della morte sono riuscito a comunicare la vita per cercare l’essenza della verità. Razionale o superrazionale, alto pensiero o elementare verità.
Importante per me è stato il non pormi il problema del figurativo o non figurativo: le radiografie sono infatti l’uno o l’altro a seconda dell’angolo di visione, in base allo stato d’animo del fruitore nel momento in cui si pone davanti all’opera, a seconda dell’ esperienza umana maturata.
L’immagine, la ricerca, il colore, tutto mi è arrivato naturale e per questo penso nulla sia contraddittorio: in sostanza tutto risponde ad una necessità interiore. Ho cercato una interpretazione universale del mondo interiore nel quale è “racchiuso il segreto dell’unità del tutto”. Qualsiasi forma, immagine paesaggio, nuvola, si trova dentro di noi: il corpo umano è il contenitore di tutto ciò che si può vedere in natura; a volte in un muscolo, a volte nei polmoni, altre volte in un esofago.
Lo specchio riflette la luce, ben presente nelle mie tele, sono andato oltre, ho penetrato lo specchio e ho trovato la forma e dentro la forma l’essenza dell’anima.
La rappresentazione di ciò come espressione immediata dello spirituale. La luce come principio attivo della vita, la forma come introspezione profonda dell’inconscio. La mia fertilità immaginativa mi ha portato ad una ricerca nei meandri dello spirito e della mente ed ho radiografato il pensiero e l’esistenza per rappresentare il tutto servendomi delle intime immagini e della luce. Un salto nell’ignoto ritenuto noto alla ricerca della verità: ed è qui che vedo quello che sento e quello che sono.

Uno sguardo che contempla serenamente il Nulla nella sua estrema estensione; l'assenza e l'eccesso del sentimento, che sono poi lo stesso… Il dominio completo della luce impedisce di vedere.

La conoscenza e la vista non sono che un gioco infinito d'ombre… D'altra parte adoro le sfumature.

Gli anni Sessanta e Settanta spaccano l’immagine di netto, giocando su campiture violentemente opposte, come per necessità di offendere…

A non riconoscere il genio c’è solo da essere stupidi. O un po’ troppo pieni di sé.

Siamo tutti soltanto sabbia sulla battigia…

Non conosco sulla terra nulla che sia davvero utile e forse neppure vivere è utile.

Far prevalere il discorso peggiore è l’oggetto specifico della retorica, di cui io non faccio uso.

Non mi piace scrivere di quello che penso perché non so neppure se sia importante quello che penso: il mio modo di pensare e di esprimermi è la pittura.

La critica d’arte si esercita su oggetti rispetto ai quali è accidentale… e fino a che non diventi letteratura, rimane un mero elemento descrittivo, decorativo.

Occhi allenati preferiscono indagare vicini e soli, svelare più che coprire.

Sei astratto o informale, o figurativo… non mi sono mai posto il problema di essere qualche cosa di preciso, o meglio qualche cosa che rientrasse in quei canoni.

La menzogna è una via diversa per arrivare alla verità.

La pietà è un dono che non tutti sono in grado di dare, e non tutti sono in grado di ricevere.

Il dolore e la morte? L’intero svolgimento e l’orizzonte ultimo della vicenda umana.

La morte è sempre la nostra personale morte: anche quando muoiono gli altri, sentiamo semplicemente la nostra morte in loro; o la loro morte in noi… Di tutto ciò che si offre ai nostri sensi, nulla persiste. Ed infine nulla ritorna… Una illusione consolatoria, un velo steso per non vedere… Come il più o l'intero delle nostre azioni peraltro… una ebbrezza volontaria… e di non trascurabile efficacia.

L'arte si impiccia, per un fatto ontologico, delle faccende ultime. Ti dice una volta ancora di guardare le cose a viso aperto… e ti offre il profumo, il miraggio di una armonia, che forse esiste… che forse esiste anche per noi, quando il nostro sguardo cessa d'essere semplicemente il nostro sguardo. Uno sguardo che si fa colmare dalla vita… Uno sguardo che si fa pura percezione… perché mentre dipingi non sai quel che fai e i momenti di giudizio, quando costruisci nella mente immagini per il tuo quadro, sono momenti che non hanno nulla a che fare con la pittura… la pittura, sai, come la conoscenza è questo gioco di luce ed ombra. La pittura, in questo senso, è un modo della conoscenza, è l'estrema apertura e disponibilità al divenire, è presa diretta alla struttura delle cose… che poi ritorna nel cosmo, in un'anca, nell'estuario di un grande fiume, eccezionalmente simile.

Senza intenzione di raggiungere una forma, la quale comunque si compie, dopo tentativi innumerevoli d'ore, nell'arco d'un istante: volti, mari quieti o in tempesta, paesaggi terrestri e lunari, visioni del cielo e dello scacchiere celeste… E se osservi, nelle immagini appaiono altre immagini, minori ed egualmente definite. La mente riconduce alla forma nota o più coerente con le proprie nozioni questo insieme di colori e segni.

Così non c'è l'intenzione né la forma di un volto nella somma dei colori e nella lastra e non c'è un fiume nel pancreas di un uomo…

L'arte ci offre una distanza molto più che siderale. Ogni opera d'arte - opera d'arte è solo il capolavoro - è questo punto di unione di finito e d'infinto, o meglio questa manifestazione dell'Infinito nel finito, che è poi il Mistero della Incarnazione del Cristo. Che è poi il mistero della possibilità che noi abbiamo di affermare qualche cosa di vero, senza tuttavia poterlo verificare: un fatto di intuizione…

Il problema della coscienza individuale: se esista o meno e come possa porsi, essa distinta e percettiva, nel continuo ininterrotto del divenire. La coscienza è giustificata dalla libertà, ma non ha senso fuori dall'idea che la realtà sia un meccanismo assolutamente pieno, completo. In questo senso l'arte è anche un caso di coscienza!

C’è un volto ed un fiume nel pancreas di un uomo, e poi anche monti in una colonna vertebrale ed una intera galassia nell’occhio…Vedi come accade? Hanno per le mani le lastre per cent’anni e non vi vedono niente altro che fratture… Tante volte chi guarda non vede, e chi “vede” non guarda…

Da una stessa lastra ho ottenuto serie di otto quadri completamente diversi… Il disegno si fa col colore. La lastra non è segno ma luce.

L'opera è compiuta prima di essere goduta, ma farne godere gli altri vuol dire farli sedere al banchetto della meraviglia. Il creatore e l'opera sono due cose distinte, e la seconda è migliore, perché il creatore vi ha dato il suo meglio e forse non solo il suo… E rimane il fatto che il creatore ha la speranza di continuare a vivere nell'opera.

Meneghetti. Perché cineasta, attore, pittore, architetto, designer, pubblicitario, musicista? Chissà se Meneghetti c'è davvero!

 

2002

Amai una sola donna di nome pittura.

Il colore di un fiore cambia continuamente mano a mano che muore. Così le mie tele.

Come dio gli ho dato la vita, il tempo gli darà la morte.

Nasce, vive, appassisce, muore.

Come la vita tutto arriva alla morte.

Non dalla fotografia alla pittura, ma dalla pittura alla fotografia. Non dal cinema, dalla scultura, dalla musica, dal design, dal teatro, dalle performances, dall’ architettura alla pittura, ma dalla pittura al TUTTO.

Non dalla scienza alla pittura, ma dalla pittura alla scienza, alla tecnologia, al computer.
Io sono nato pittore e resto pittore anche fuori dalla pittura!

Penso che l’opera mia spieghi molto, non solo di me.

E’ lui che vi spinge a togliere le maschere per rendere più accettabile la vita.

Guardiamoci dentro, diventeremo più buoni.

Io vi sto parlando di voi e voi nemmeno mi ascoltate, non mi vedete.

“Attese” Paura e sogno. Come l’ouroboros, cerchio costante di vita e di morte, così la colonna vertebrale si fa mostro padrone del nostro deserto quotidiano. La follia d’un padre, d’un figlio, d’un sistema, d’un popolo, che uccide gli altri e se stesso, è immagine e presagio della Fine.

 

2003

Sono veramente dispiaciuto del fatto che non passerete alla storia;
la storia avrebbe bisogno di un branco di ciechi, sordi, muti, avidi e ignoranti come voi ma, non siete all’altezza. La storia vi ignorerà.

Non avete il coraggio delle vostre scoperte per questo arrivate sempre uno dopo l’altro e sempre per una toccata e fuga, sempre per un pugno di trenta denari. Fra di voi si salva solamente qualche vecchio, troppo vecchio per poter occuparsi di me.

Proviamo anche con Dio, non si sa mai.

La mia ambizione ha superato di gran lunga il mio talento e non trovo più cavalli bianchi e belle donne alla mia porta.

La mia opera, metafora della miserrima condizione umana: né terrena né celeste, sospesa in un limbo, senza inizio né fine.

Ho commesso un grande errore, mi sono e Vi ho preso tutti troppo sul serio.

Caro Francesco, mi sopravviverai ma io, non grazie a te, ti sopravviverò.